martedì 12 luglio 2011

Menfi: Biomassa, progetto Cantine Settesoli

Il progetto Biomasse della Cantina Settesoli (zona CO.VA.G.)

Lunedì 18 luglio, alle ore 20,00 presso il salone del bassorilievo Torre Federiciana Piazza V. Emanuele, si terrà un Consiglio Comunale Aperto durante il quale tutta la cittadinanza potrà esprimersi sul parere in ordine alla richiesta di realizzazione di impianto alimentato da biomassa presso stabilimento Cantine Settesoli (ex stabilimento CO.VA.G.) in loocalità ‘Fiori-Mandrazzi’ adiacente alla pista ciclabile, limitrofa al centro abitato di Menfi e prossima alla zona balneare dei Lidi Fiori.

Cliccando sul link della Settesoli di seguito riportato si può leggere la presentazione del progetto Cantine Settesoli, informarsi, e partecipare al meglio nelle scelte della comunità.

Il Progetto Cantine Settesoli

Relazione Tecnica-Economica Progetto Cantine Settesoli

La Green Economy e la vitivinicoltura siciliana - Il caso della Cantina Settesoli

venerdì 8 luglio 2011

Regione Sicilia: Lombardo vuole abolire le province

Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione siciliana, uno dei fondatori della Democrazia cristiana, avrebbe voluto abolirle il giorno dopo la sua elezione. Era un autonomista convinto, avrebbe voluto che lo Statuto speciale della Regione siciliana fosse rispettato.  
Né prefetture, né province, ma comuni e liberi consorzi comunali come prescrive l’articolo 15.




Statuto della Regione Siciliana - Art. 15
1. Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono
soppressi nell'ambito della Regione siciliana.
2. L'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui
liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria.
3. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e
l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali.


La Commissione dei 75, che preparò la Carta costituzionale, le aveva soppresse in tutta la Penisola, ma l’Assemblea costituente le resuscitò. Battaglia persa, sia nell’Isola maggiore quanto nel resto dell’Italia.

Nel 1970 con la nascita delle Regioni, un altro siciliano, Ugo La Malfa, come Giuseppe Alessi, si batté per abolirle, sostenendo che si trattava di doppioni. Nel 1991 erano 95, negli ultimi quindici anni ne sono state istituite quindici. Le ultime nate sono Fermo, Monza e Bat (acronimo che sta per Barletta, Andria e Monza).

Nel 2010, alla vigilia dell’estate, mentre si preparava una manovra di contenimento che avrebbe richiesto i sacrifici, dai banchi della maggioranza di governo si propose un taglio dei costi della politica, a cominciare dall’abolizione delle province e delle comunità montane e l’accorpamento dei piccoli comuni. Una misura, si disse, che avrebbe sicuramente regalato risparmi all’erario. Non se ne fece niente.

L’ultimo assalto, anch’esso andato a vuoto, per sopprimere le province si è svolto a Montecitorio, dove una proposta di abolizione dell’Italia dei Valori è stata bocciata dal Pdl e dalla Lega, approvata dal Terzo Polo. Il Partito democratico si è astenuto, consentendo la bocciatura.

Oggi abbiamo otto livelli di governo. Le province hanno 61 mila dipendenti, spendono 13 miliardi l’anno circa e costano 160 euro a testa per ogni italiano. Sono amministrate da 110 presidenti, mille assessori e quattromila consiglieri, per i quali lo Stato spende 119 milioni di euro l’anno, una cifra che non fa conto dell’indotto politico, non quantificabile in termini di risorse. Il budget delle province è cresciuto negli ultimi anni del 65 per cento, metà delle risorse – sei miliardi e mezzo circa - i tredici miliardi servono per pagare gli stipendi, il resto per le scuole e l’ambiente.

Il Partito Democratico vanta il maggior numero di amministrazioni provinciali con 40 presidenti; seguono il Pdl con 36, la Lega con 13, l’Udc con 5 e l’Mpa con 2. I partiti che hanno bocciato la soppressione delle province, richiesta dall’Idv – con il voto contrario o l’astensione – sono quelli in testa alla graduatoria, e cioè il Pd, il Pdl e la Lega. L’Udc e l’Mpa hanno votato a favore dell’abolizione, auspicata dall’Italia dei Valori, che non presiede alcuna amministrazione provinciale.

La considerazione è inevitabile: la soppressione la chiedono i partiti che non amministrano e l’avversano gli altri. Ma sarebbe ingiusto fermarsi qui. L’Udc, per esempio, e l’Mpa sono presenti al vertice delle province, seppure con un numero modesto. I partiti che amministrano le province hanno un problema in più nel decidere la loro soppressione. Farebbero arrabbiare migliaia di amministratori, una fetta importante della loro classe dirigente. Ma questa motivazione non la riveleranno mai, nemmeno sotto tortura, inutile aspettarsela.

La Lega Nord ha puntato i piedi lo scorso anno con risolutezza, ponendo il veto. Quelle tredici amministrazioni provinciali stanno tutte al Nord, abolire le province significherebbe per loro farsi mancare il terreno sotto i piedi. Sono Secessionisti di governo e federalisti “provincialisti” (o provinciali, scegliete voi).
Dopo avere bocciato qualche giorno fa la proposta di soppressione dell’Idv, i leghisti hanno lanciato un altro urlo di guerra contro le prefetture: province intoccabili, semmai “ministeriali” (dovrebbe essere la provincia di Monza ad ospitare i tre Ministeri romani) , prefetti a casa.

Il Presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, all’indomani della bocciatura di Montecitorio ha ribadito la volontà, manifestata già sei mesi or sono, di sopprimere le nove province. In Sicilia, a differenza che nella Penisola, la soppressione non avrebbe bisogno di alcuna legge né norma costituzionale, perché lo Statuto speciale della Regione prevede che nell’Isola l’ordinamento degli enti locali si basi sui comuni e sui liberi consorzi di comuni. La soppressione delle province, perciò, attuerebbe lo Statuto speciale.

Già sei mesi or sono, d’accordo con il Pd, il governatore sollevò la questione, facendone un provvedimento caratterizzante della nuova maggioranza. Sarebbe stata la risposta al fallimento delle proposte romane di soppressione. Ma la questione, pur essendo stata posta con determinazione, non venne nemmeno affrontata.
Oggi Lombardo ripete il tentativo, anche questa volta all’indomani di un nuovo assalto romano alle province. Farebbe carte false per dare lo smacco a Roma. Il trionfo dell’autonomismo ed un taglio consistente ai costi della politica (gettoni di presenza e stipendi per quasi quattrocento amministratori, indennità per assistenti, uffici di segreteria, apparati e spese varie). L’indennità dei presidenti delle province varia da circa settemila seicento euro a cinquemila seicento, a seconda del numero di abitanti (circa 50 mila euro gli stipendi più alti degli assessori, 3300 euro i più bassi). Poi vanno calcolati i gettoni ai consiglieri, non più di 21 sedute al mese a 126 euro per ogni seduta, sicché un consigliere nelle province più popolose può ricevere 2700 euro circa ed in quelle meno popolose qualcosa di più di mille euro.

La soppressione delle province cancellerebbe le spese degli amministratori e dei loro apparati, ma non il resto. Le competenze e i dipendenti passerebbero ai comuni o ai liberi consorzi.

Ce la farà il governo Lombardo laddove non riuscì Giuseppe Alessi sessantotto anni or sono e la Camera dei deputati tre giorni or sono?


Fonte: http://www.siciliainformazioni.com

lunedì 4 luglio 2011

Regione Sicilia maglia nera dell’Italia per mancanza di depuratori, la provincia di Agrigento guida la classifica

In queste ultime ore sui mezzi di comunicazione impazza la notizia relativa alla pesantissima multa di 20 milioni di euro, più 200 mila euro al giorno, a danno dell’Italia, multa comminata dalla Corte di Giustizia Europea dopo che la Commissione della comunità Europea ha deferito alla medisima Corte la Regione Lombardia per la mancata depurazione delle acque reflue da parte di alcuni comuni di questa regione che continuano a scaricare sui fiumi e laghi le acqua reflue.



Questa è solo la prima trance dei provvedimenti sanzionatori che la Corte di Giustiza E. comminerà a breve nei confronti di altre regioni d’Italia. Nella lista nera stilata dalla Commissione Europea sul mancato rispetto della legislazione comunitaria sulle acque reflue (direttiva 91/271/CEE), compaiono complessivamente 178 Comuni italiani tutti sotto inchiesta, di questi il 73% sono nell’Italia meridionale (la parte del leone la fanno Sicilia, Calabria e Campania).

A dirlo è Calogero Miccichè, coordinatore Provinciale di Sinistra Ecologia e Libertà Agrigento, in una sua nota secondo cui 178 comuni violano le direttive europee sulla mancata tutela ambientale e sul riciclo delle acque bianche e nere, la nostra regione è la più inadempiente, mentre della provincia di Agrigento risultano segnalate alla corte di Giustizia 7 grossi comuni, in testa il comune capoluogo e le sue periferie, quindi le città di Menfi, Sciacca, Ribera, Porto Empedocle, Favara e Palma di Montechiaro, per i quali molto probabilmente l’ organo di giustizia amministrativa della comunità europea condannerà la Regione Sicilia che fino ad oggi non ha posto in essere provvedimenti per evitare lo sversamento fognario direttamente a mare.

Come può Menfi rientrare nei 7 comuni?! Proprio mesi fà è stato attivato all'altezza del depuratore, in località Fiori, un impianto per il riutilizzo a fini agricoli delle acque reflue. Un investimento da 3 milioni e 600 mila euro. Non si spiegherebbe, fra l'altro, come la bandiera blu ci sia stata riconosciuta per 15 volte, di cui 14 consecutive.

A tal proposito, credo che l'ex deputato regionale Lillo Miccichè si sia sicuramente sbagliato nel citare Menfi come Comune sanzionato. Anzi, si attendono rettifiche in merito.

sabato 2 luglio 2011

Carlo Rubbia: con il "Progetto Archimede" l'energia solare può sostituire il petrolio

Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica.
Un anno fà circa, a Priolo Gargallo (Siracusa), veniva inaugurata il primo impianto solare termodinamico italiano e il primo al mondo ad essere integrato con una centrale a ciclo combinato a gas naturale.

Il progetto Archimede, elaborato dall’ENEA in collaborazione con Enel, come detto utilizzerà la tecnologia termodinamica, più efficiente rispetto a quella più diffusa e conosciuta del fotovoltaico, in quanto è in grado di produrre energia elettrica anche di notte o quando il cielo è coperto. Il sole viene sfruttato infatti in maniera indiretta.
Dei vasti campi di specchi concavi (a Priolo sarà utilizzata una superficie di circa 300 x 280 metri) concentrano i raggi solari utilizzandoli per scaldare fino alla temperatura di 550 gradi un fluido a base di sali messo a punto attraverso gli esperimenti coordinati da Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica.

Il calore ottenuto servirà a generare vapore ad alta pressione che, convogliato nelle turbine dell'adiacente impianto a ciclo combinato della centrale Enel, incrementerà la produzione di energia elettrica dell'impianto, riducendo la necessità di bruciare combustibili fossili. Il materiale che verrà usato a Priolo, oltre a mantenere il calore a lungo permettendo alla centrale di funzionare anche di notte o con il cielo coperto, così come gli olii utilizzati nelle centrali solari termodinamiche già in funzione, ha anche le importanti e innovative qualità di essere totalmente innocuo per l'ambiente in caso di fuoriuscite accidentali e di non essere infiammabile.

Finalmente, dunque, anche in Italia ha messo piede quella che viene considerata dai più la tecnologia rinnovabile con più prospettive per il futuro. Rimane ancora da capire, però, quali saranno le intenzioni del governo ....


venerdì 1 luglio 2011

Provincia di Agrigento: 12 dipendenti raggiunti da avvisi di comparizione per truffa, falso e abuso di ufficio

Dodici avvisi di comparizione sono stati inviati a dipendenti e dirigenti della Provincia Regionale di Agrigento dalla Guardia di Finanza presumibilmente a seguito delle indagini sull'inchiesta partita con il sequestro di incartamenti operati l'anno scorso.

I 12 indagati sono: Antonino Amato, 60 anni; Bernardo Barone, 58 anni; Anna Capizzi, 51 anni; Ignazio Gennaro, 53 anni; Antonia Giglione, 53 anni; Antonino Graci, 61 anni; Gaetano Gucciardo, 59 anni; Giuseppina Miccichè, 55 anni; Giuseppe Montana Lampo, 58 anni; Giuseppe Morreale, 59 anni; Paolo Muratore, 54 anni; Stefano Mammo Cagarella, 53 anni.

L’accusa per tutti è abuso di ufficio. A partire da lunedì saranno interrogati dalla Guardia di finanza, delegata a svolgere le indagini dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dal pm Giacomo Forte.

Sono sospetti pranzi, cene, spuntini e rinfreschi al bar a tutte le ore. Ma anche acquisti ritenuti di utilità sospetta in gioielleria, servizi di animazione e persino pagamenti alla Croce Rossa non proprio indispensabili. Il periodo analizzato va dalla fine del 2008 all’estate dell’anno scorso. I funzionari avrebbero commesso un abuso di ufficio liquidando il pagamento delle spese sostenute anche se le ricevute erano generiche e il fine istituzionale non specificato. 

Nel mirino anche 15 mila euro relative a pregiate penne Mont Blanc, portafogli, agende e altri oggetti che sarebbero stati acquistati dall’ente in violazione dei regolamenti. Altre ipotesi di abuso d’ufficio, contestate ai dirigenti dell’ente, sono relative all’affidamento di alcuni contratti nel campo dell’edilizia senza avere preventivamente accertato se era possibile svolgerli con risorse interne all’ente. Lavori effettuati in abitazioni private da personale pagato dalla Provincia e dall'utilizzo improprio di carte di credito dello stesso ente. 

Inoltre, nella lunga lista della spese, secondo i pm eccessivamente disinvolte, rientrava anche l’assegnazione di un progetto in materia di sviluppo energetico. Quei 16mila euro spesi sarebbero stati risparmiati se fosse stato utilizzato personale già in servizio alla Provincia regionale. Contestate anche le spese connesse all’organizzazione di un torneo di calcio (compreso il pagamento della Croce Rossa per l’assistenza sanitaria) in quanto non sarebbe stato possibile procedere all’affidamento diretto. A giorni il presidente D'Orsi e due assessori della Giunta provinciale potrebbero essere ascoltati dal coordinatore dell'inchiesta, il sostituto procuratore della Repubblica Giacomo Forte.

Raimondo Buscemi
Il Presidente del Consiglio Provinciale, Raimondo Buscemi a seguito dei noti fatti che hanno investito alcuni dipendenti dell’Ente ha diffuso la seguente dichiarazione: “Gli incresciosi avvisi a comparire davanti ai magistrati della Procura di Agrigento e notificati ad alcuni dipendenti della Provincia Regionale, lasciano esterrefatti. 

Personalmente sono pienamente convinto che la Magistratura agrigentina ed il particolare il dott Fonzo, saprà fare, in tempi brevi per ridare serenità a queste famiglie, piena luce sui fatti per i quali è in corso questa delicata indagine. Ma non posso esimersi di esprimere la mia più incondizionata solidarietà a questi dipendenti della Provincia Regionale di Agrigento, alcuni dei quali non solo conosco personalmente ma sono pienamente convinto sia della loro onestà e dell’alto senso del dovere sia della loro professionalità nello svolgere il quotidiano lavoro all’interno dei vari settori dell’Ente.
Sono convinto che a conclusione dell’indagine la verità verrà pienamente ristabilita.

martedì 28 giugno 2011

Anonymous attacca il sito dell’Agcom

Dal 6 luglio l’Agcom, grazie alla delibera 668/2010, avrà il diritto di oscurare siti che violano i diritti d’autore. Infatti, sulla base di un semplice sospetto di violazione del copyright, l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (di nomina politica), potrà chiudere portali, siti internet, blog e ogni tipologia di servizio online accusati di non rispettare i diritti d’autore. Tutto ciò in modo arbitrario e senza il controllo del giudice.

La delibera è stata fortemente voluta da editori e produttori di contenuti audio-visivi (Mediaset principale promotrice dell’iniziativa) per tutelare i propri diritti d'autore; questi ultimi avranno ora la possibilità di segnalare all'autorità garante eventuali violazioni di copyright e quest'ultima potrà procedere immediatamente all'oscuramento delle pagine indicate senza passare attraverso le normali vie giudiziarie.

Perchè l'Agcom potrà decidere di oscurare un sito senza il controllo del giudice? Se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere. Cinque giorni per il contradditorio. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all'Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l'avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l'Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti. Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l'inibizione del nome del sito web», prosegue l'allegato B della delibera, «ovvero dell'indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».

E' facile intuire che il rischio di questa delibera è un profluvio di denunce che non potranno dirimersi in cinque giorni con l'effetto di rendere questa delibera o totalmente impraticabile oppure tale da essere gestita con l'accetta e quindi potenzialmente capace di essere un veicolo di censura. Tutto questo senza la tutela del coinvolgimento del sistema giudiziario.

In nome della libertà, i pirati di “Anonymous”, la rete a cui fanno riferimento gli hacker di tutto il mondo, in collaborazione con "LulzSec", hanno attaccato l’Agcom. L’operazione, come potete leggere sulla pagina di Anonymous, si chiama “Operation italian internet freedom” e invita gli utenti a mobilitarsi al motto di “la libertà di avere internet libero è un diritto che nessuno deve ostacolare”.

Il messaggio : “L’Agcom vorrebbe istituire una procedura veloce e puramente amministrativa di rimozione di contenuti online considerati in violazione della legge sul diritto d’autore. L’Autorità potrebbe sia irrogare sanzioni pecuniarie molto ingenti a chi non eseguisse gli ordini di rimozione, sia ordinare agli Internet Service Provider di filtrare determinati siti web in modo da renderli irraggiungibili dall’Italia. Il tutto senza alcun coinvolgimento del sistema giudiziario”.

Le retribuzioni dei deputati regionali siciliani

Palazzo dei Normanni
Quanto guadagnano esattamente i deputati regionali siciliani? Il mistero non è più tale. Grazie ad una sentenza del Tribunale amministrativo regionale, SiciliaInformazioni ha visionato 60 buste paga (buste paga di dieci deputati: cinque deputati senza incarichi e cinque con cariche) ricevute in forma anonima. Periodo che va da luglio a dicembre 2009.

Nell'ultimo semestre del 2009 le buste paga dei dieci deputati regionali ci segnalano che la retribuzione mensile media oscilla tra 9.073 e i 13.429 euro netti. Questa cifra, tuttavia, non comprende il contributo per il “supporto all'attività parlamentare”: altri 4.678 euro mensili netti per singolo deputato (dal 2011 ridotti a 4.178 euro) che vengono accreditati dall’amministrazione ai rispettivi gruppi parlamentari che li dirottano ai singoli deputati. Ipotizzando che la cifra sia stata ripartita in maniera eguale, e non potrebbe essere diversamente, il compenso mensile dei deputati salirebbe in media da 13.751 a 18.107 euro.

Le retribuzioni mensili variano da mese a mese. Dipende dalle assenze ingiustificate, dalle trattenute, dai conguagli, dalle missioni e da rimborsi speciali. Inoltre alcune di queste somme – come i rimborsi per i trasporti pubblici – vengono accreditati su base trimestrale. Sicché alcune mensilità sono più pesanti di altre. Il deputato “Gamma”, per fare un esempio, nell'agosto 2009 ha ricevuto 9.499 euro mentre il mese successivo ne ha portati a casa 14.377.
Tutte le voci retributive sono esenti da imposte e contributi. Fa eccezione l'indennità parlamentare, unica voce per cui è necessario fare una distinzione tra importo lordo e importo netto; in tutti gli altri casi (indennità di carica, diaria, rimborsi...) gli importi percepiti dai parlamentari vanno sempre considerati come netti. L'indennità parlamentare, uguale per tutti i deputati, nel periodo in esame è stata pari a 11.703 euro lordi mensili, ossia 5.250 euro netti. Alcuni deputati hanno però ricevuto anche un'indennità di carica: al Presidente dell'Assemblea spetta un bonus mensile di 7.724 euro, ai vicepresidenti 5.149, ai questori 4.642, ai deputati segretari e ai presidenti di commissione 3.316, ai vicepresidenti di commissione 829 e ai segretari di commissione 414.

La “diaria”, uguale per tutti i deputati, è stata di 4.003 euro, ridotti di 258 euro per ogni assenza in aula (dal 2011 la diaria è stata diminuita di 500 euro e la penalità per le assenze di 34).

I rimborsi costituiscono una parte rilevante dello stipendio. A ogni deputato spettano 4.150 euro all'anno per “spese telefoniche” (la rata è accreditata mensilmente). Il rimborso è a forfait: in pratica viene assegnato anche se il deputato non ha sostenuto spese telefoniche. E' previsto anche un rimborso annuale per la benzina, "l'indennità trasporto su gomma”, pari a 6.646 euro per chi risiede a Palermo, 13.293 per chi risiede entro 100 chilometri e 15.979 per tutti gli altri.

L’automatismo e la forfettizzazione dei rimborsi è un criterio seguito nelle assemblee legislative. Avviene esattamente la stessa cosa con i rimborsi elettorali che hanno sostituito il finanziamento pubblico ai partiti, bocciato da un referendum. Qualunque sia la spesa, il rimborso è sempre lo stesso. I benefit non finiscono qui: è previsto un rimborso per le spese di trasporto ferroviario, aereo e marittimo: 10.095 euro annui liquidati trimestralmente, anche in questo caso in maniera del tutto automatica.Accanto a queste voci ve ne sono altre molto particolari, non menzionate neanche nel sito dell'Ars, dove è presente un'apposita sezione sulla retribuzione dei deputati. Nel novembre 2009 il deputato “Zeta” ha ricevuto 3.900 euro come rimborso per un “apparato informatico e telefonico” mentre il deputato “Sigma” a luglio ha ricevuto 3.400 per una missione e 230 euro di rimborso per l'acquisto di giornali e riviste.

Nel 2011 l'assemblea ha stanziato 22,3 milioni di euro per gli stipendi dei deputati e 5,5 milioni per il supporto all'attività parlamentare. Ognuno dei 90 deputati peserà per 309 mila euro sulle tasche dei cittadini. I costi salgono se si considerano i vitalizi degli ex deputati (22,3 milioni) e le spese per il funzionamento dei gruppi parlamentari (8 milioni destinati in gran parte a pagare gli stipendi del personale): in totale si arriva a 58 milioni di euro. Il costo complessivo dell'Ars è invece di 177 milioni.

Tiriamo le somme. La parte più importante della retribuzione è esentasse perché costituita da “rimborsi” e/o indennità non tassabili. Questo significa che, a parità di reddito, percepiscono molto di più rispetto a un cittadino comune. La pensione dei deputati – ossia il vitalizio – è invece molto superiore a quella di un lavoratore: varia dal 25% al 80% dell'indennità parlamentare a fronte di contributi previdenziali mensili pari al 10,75%.

I siciliani, grazie alla iniziativa di SiciliaInformazioni ora hanno le idee più chiare sulle retribuzioni dei deputati.


Articolo completo: http://www.siciliainformazioni.com/giornale/politica/127749/retribuzioni-deputati-regionali-svelato-mistero-dopo-unattesa-lunga-anni-ecco-dati-ufficiali-grazie-sono-belle-cifre.htm

lunedì 27 giugno 2011

La bozza sulla riforma del fisco


Tre aliquote Irpef: al 20, 30 e 40%; innalzamento dell'Iva di un punto per le aliquote più alte (10 e 20%); abolizione dell'Irap a partire dal 2014 e la soppressione dell'Ice (istituto per il commercio estero); potrebbero essere queste le novità contenute nella bozza, al vaglio del ministero dell'Economia.

Le riforme fiscali, data la sua importanza per le sorti future del Paese, solleva sempre dei dubbi e sospetti nelle opposizioni di governo. Stranamento però, ad avanzarle non è un esponente della frazione politica avversa, ma il sottosegretario del PdL Guido Crosetto. Il deputato, alle prime indiscrezioni della riforma, esterna il proprio disappunto personale dichiarando che: "Le bozze della manovra economica andrebbero analizzate da uno psichiatra. Per fare il ministro così basta anche un ragioniere".

Il premier Berlusconi domani, al vertice di maggioranza, analizzerà i contenuti della manovra. Per la coalizione di governo, si preannuncia un mezzogiorno di fuoco.

Fonte Immagine: http://www.ilsole24ore.com/

domenica 26 giugno 2011

Lombardo: La Lega vuole la secessione?! Alla Sicilia conviene!


"Ora è la Sicilia che fa la secessione"

«Chiederò al ministro per il Federalismo Umberto Bossi che questa secessione la faccia veramente una volta per tutte, ma in Sicilia. Ci mandi pure al diavolo: sono sicuro che, da indipendenti, ce la caveremo meglio che restando sotto la tutela di Roma».


Lo afferma il presidente della regione Sicilia, Raffaele Lombardo, che in un'intervista al Giornale, sottolinea: «Senza una pistola puntata alla tempia non saremo mai virtuosi». «Pero' temo che il federalismo non si realizzerà affatto com'e' stato pensato. E allora meglio che ciascuno vada per la propria strada», chiarisce.

Riscrivere la storia - «Lo stato italiano - continua Lombardo nel suo ragionamento - incassa 10 miliardi di euro di entrate fiscali derivanti dalla raffinazione del petrolio. Ci lascino quello che è dei siciliani e noi siamo a posto».
Per il governatore «L'unità d'Italia non è stata un affare ne' per i veneti, ne' per i siciliani, ne' per nessuno». «Quando sarà riscritta la storia d'Italia - conclude - si vedrà che una mano al successo della mafia l'hanno data i garibaldini. Garibaldi portava in Sicilia un regno la cui capitale era molto lontana e la criminalità organizzata ha bisogno di questo: più distante è il sovrano o il presidente e meglio campa».

sabato 25 giugno 2011

Luigi Bisignani e la P4

Luigi Bisignani è stato arrestato. Potente uomo d'affari, ex piduista, grande amico e sodale di Gianni Letta e Silvio Berlusconi, è stato messo ai domiciliari nell'ambito dell'inchiesta P4, con l'accusa di associazione a delinquere, rivelazione del segreto d'ufficio e associazione segreta.
"Mantenuta in vita" dicono i magistrati "allo scopo di commettere un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia". In tutto i reati di imputazione contestati dai pm sono 19. L'inchiesta è condotta dal pm Henry John Woodcock, e coinvolge anche il parlamentare del Pdl Alfonso Papa (per lui il Gip ha trasmesso alla Camera la richiesta di autorizzazione all'arresto), e un sottufficiale del carabinieri, partito per l'estero mesi fa e mai più rientrato in Italia. Ecco l'inchiesta dell'Espresso su Bisignani, il suo potere e i suoi affari.

Luigi Bisignani
Nel centro di Roma c'è un taxi che è sempre occupato, e che non prende mai chiamate. Inutile alzare la mano o fare un fischio se qualcuno lo incontra tra i vicoli dietro piazza di Spagna o davanti a Palazzo Chigi: il taxi inevitabilmente tira dritto per la sua strada. Perché da anni il conducente, Paolo, ha un unico affezionato cliente, un imprenditore che ha trasformato la macchina in una specie di ufficio mobile, con palmari, computer e attrezzature tecnologiche sparpagliate sui sedili. Il passeggero indossa sempre un vestito blu (sartoria napoletana) una camicia bianca e una cravatta blu, e si chiama Luigi Bisignani. Per gli amici, semplicemente Gigi.
Chi è? "Come chi è? Oggi è l'uomo più potente in circolazione. Più potente di me", ha detto Silvio Berlusconi a un fedele collaboratore che gli chiedeva informazioni sull'individuo che usciva da quel taxi bianco.

Forse Berlusconi esagera, ma il suo amico Gigi, ex piduista che non girerebbe mai in un'auto blu, condannato negli anni Novanta a due anni e otto mesi per aver portato decine di miliardi di lire della maxitangente Enimont nella banca vaticana dello Ior e oggi di nuovo al centro di un'inchiesta della procura di Napoli denominata "P4", è di sicuro uno dei personaggi più influenti e misteriosi d'Italia. Un cinquantasettenne che ufficialmente amministra una stamperia, la Ilte, ma che è considerato da tutti, nei palazzi del potere, il capo indiscusso di un network che condiziona la vita del Paese. "La ditta", lo chiamano ministri, onorevoli e boiardi che fanno la fila nel suo ufficio a piazza Mignanelli per omaggiare, chiedere favori, consigli e discutere di nomine pubbliche e affari. "Che lavoro fa davvero Gigi? Diciamo che è un maestro nel mettere insieme persone e interessi convergenti", spiega chi lo conosce dai tempi della P2. "Un uomo curioso e geniale con un portafoglio relazionale pazzesco. Decine di potenti gli devono la carriera. La rete su cui si fonda il sistema romano di Berlusconi l'ha creata lui, ed è lui a saper muovere più di tutti le leve".

Nella rete di Gigi
E' il profilo di un "grande vecchio" tipico della tradizione nazionale, tanto che qualcuno sorride definendo Bisignani "un bluff". Ma è un fatto che in queste ore senatori e deputati non facciano altro che parlare del lobbista (qualcuno dice persino che è partito, destinazione Emirati Arabi), del suo uomo Alfonso Papa (ex magistrato oggi deputato Pdl coinvolto nell'inchiesta), e delle indagini che i pm campani stanno portando avanti da mesi.
Mezza Roma segue gli sviluppi con il fiato sospeso, perché teme che gli incontri riservati di Gigi, attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, siano stati registrati dagli inquirenti. Il più preoccupato di tutti sembra essere Gianni Letta, che gestisce la rete insieme a Bisignani e che è già stato ascoltato in procura. L'altra metà dei poteri forti che governa, quella che fa capo a Giulio Tremonti, al banchiere Massimo Ponzellini e alla Lega, sta invece alla finestra: se cade Bisignani, per loro si spalancheranno le praterie.
Difficile elencare tutte le persone che hanno un rapporto diretto con Gigi: sono troppe. Rapporti con il lobbista appassionato di gialli (ne ha scritti due: "Il sigillo della porpora" e "Nostra signora del Kgb", successi che gli hanno procurato per un po' la nomea del Ken Follet tricolore) ha per esempio l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni, della cui nomina con Bisignani certamente si è parlato. Anche la Carfagna lo rispetta. E' stato lui a tessere la tela per riavvicinare la ministra al premier dopo lo strappo dello scorso dicembre. Gigi non fa mistero di stimarla molto: sulla scrivania del suo ufficio, insieme a un libro del portavoce dell'Opus Dei Pippo Corigliano, fa bella mostra di sé "Stelle a destra", la fatica letteraria firmata dalla Carfagna e impreziosita dalla prefazione di Francesco Cossiga. Nel governo anche il ministro degli Esteri Franco Frattini, Stefania Prestigiacomo e Mariastella Gelmini conoscono assai bene Bisignani. Pure Daniela Santanchè gli deve molto, anche se ultimamente i rapporti tra i due sembrano essersi raffreddati.

Grande uomo di comunicazione, Gigi ha le conoscenze giuste anche alla Rai. Nel 2008 fu proprio lui a spingere - anche contro il volere di Letta - affinché Mauro Masi tornasse alla segreteria generale della presidenza del Consiglio, mentre l'attuale direttore degli affari legali è Salvatore Lo Giudice, suo avvocato di fiducia. "Ma Bisignani si vede spesso anche con Augusto Minzolini, direttore del Tg1", racconta una fonte che chiede l'anonimato. Da politici come Andrea Ronchi a Lorenzo Cesa, a uomini degli apparati come Giorgio Piccirillo, capo del servizio segreto Aisi, il generale della Guardia di Finanza Walter Cretella e il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, Gigi dà del tu a tutti. Senza dimenticare che (quasi) tutti i responsabili delle relazioni istituzionali delle aziende pubbliche fanno riferimento a lui.

La storia della massoneria

Massoneria. Nata in Scozia a fine cinquecento, la massoneria (termine che designa sia l’istituto associativo, sia il corpo dottrinario, che ne definisce la struttura e i fini) prese forme stabili e moderne in Inghilterra agli inizi del XVIII secolo. Da lì i modelli organizzativi si diffusero l’”iniziazione” di nobili e di teste coronate, in un un’epoca in cui fu intensamente avvertita l’esigenza di nuove forme di sciabilità politica, culturale e religiosa.

L’ideologia che individua nel popolo massonico il popolo eletto assunse in Europa tratti aristocratici e antidispotici, ed espresse in forma moderata l’anelito al cambiamento che pervase in quel secolo la vita politica e civile. Nei regni meridionali le prime logge si costituirono nel terzo decennio del secolo XVIII. Nell’attività massonica furono coinvolti, sin dall’inizio, rappresentanti del commercio ed esponenti dell’aristocrazia. Il governo di Carlo di Borbone, dopo un iniziale atteggiamento tollerante, dovette procedere ad una moderata repressione in seguito alle condanne della Santa Sede (1738, 1751). Nella seconda metà del Settecento, la massoneria si diffuse soprattutto nelle città portuali di Messina, Palermo e Catania.

Friedrich Munter
Nel 1748-85, un giovane intellettuale danese, Friedrich Munter (vescovo, archeologo, filologo, massone, storico della chiesa), soggiornò a lungo in Italia e nei regni meridionali con il compito di riorganizzare la libera muratoria italiana l’Ordine degli Illuminati di Baviera. Questi costituivano, per progettazione politica, il ramo più radicale del templarismo tedesco ed ebbero una straordinaria diffusione soprattutto nella Germania degli anni Settanta. Le conversazioni, e la successiva corrispondenza con i “fratelli” napoletani e siciliani, offrirono a Friedrich Munter importanti strumenti per la comprensione storico-politica della società meridionale e gli consentirono di cogliere il carattere politico dell’associazione muratorio, e l’antidispotismo (e persino il neorepubblicanesimo) dei settori avanzati della massoneria napoletana.

In Sicilia, Munter incontrò una situazione profondamente diversa. A Palermo, la loggia di San Giovanni di Scozia, nata dall’omonimo tempio di Marsiglia, aveva espresso sin dalla sua fondazione, agli inizi degli anni Settanta, una decisa vocazione cosmopolita nel costruire una fitta rete di corrispondenza e di commerci, soprattutto attraverso il dinamismo e lo zelo massonico del console svizzero Aubert. Più tardi, nel 1779, si era verificata una scissione: un gruppo, seguendo le scelte del Gran Maestro della Gran Loggia Nazionale dello Zelo di Napoli, aveva aderito al Regime scozzese rettificato (riforma di Lione) e aveva assunto, in onore della regina, il nome di “Marie au temple de la Concorde”; altri “fratelli” preferirono conservare l’obbedienza inglese, si organizzarono ed ottennero una patente dal Gran Maestro provinciale del sistema inglese.

La missione di Munter nell’isola si rivelò, tuttavia, “un’impresa a vuoto”. In un giudizio sconsolato sulla massoneria siciliana, egli così registrò il suo fallimento: “La Sicilia non mi sembrò paese adatto alla libera muratoria. La maggior parte vi si accostava per sete di guadagno, per servirsi dei fratelli nelle loro faccende personali ed in affari del mondo profano. E se non ottenevano un risultato positivo si raffreddavano o addirittura tradivano. Altri si annoiavano della nostra cosa, perché non ci capivano nulla. I buoni, però, sono veramente buoni”.
La sovrapposizione di idee e di obiettivi tra massoneria e illuminismo – tema sviluppato da Giuseppe Giarrizzo in un recente, originale e già classico studio sul Settecento europeo – e il conseguente ruolo politico e sociale di cui s’investirono quegli intellettuali per la costruzione di un mondo nuovo e per la formazione dell’opinione pubblica è testimoniato dall’adesione alle logge di numerosi riformatori siciliani. Il dibattito che si accese in Sicilia non riguardò temi speculativi, ma ebbe contorni politici, cercando soluzioni ai problemi sociali e istituzionali. Il coinvolgimento della massoneria nell’azione di governo divenne più forte con la nomina, nel 1786, a vicerè di Sicilia del “fratello” Francesco D’Aquino, principe di Caramanico. Nell’attività riformatrice furono coinvolti il segretario del vicerè Francesco Carelli, il consultore Dragonetti, l’abate Saverio Scrofani, Francesco Paolo Di Blasi, incaricato di compilare una raccolta prammatiche del Regno, Giovanni Agostino de Cosmi, responsabile per l’istituzione di scuole normali, e Tommaso Natale, ministro del Tribunale del Real Patrimonio, a cui fu affidato il compito di proporre la censuazione delle terre demaniali.

Gli intellettuali siciliani, laici ed ecclesiastici, nobili e civili, aderenti alla massoneria furono tutti direttamente impegnati nel progetto riformatore, diventando braccio operativo del governo. Con la Rivoluzione francese, com’è noto, la politica riformatrice subì un deciso arresto. I Borbone di Napoli, che sin allora avevano favorito il mondo massonico, assunsero posizioni repressive nei confronti della massoneria. In questo contesto furono chiuse le logge di Messina, Catania e Palermo. Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, assistiamo a percorsi diversi nella parte continentale e in Sicilia. Mentre nel regno di Napoli si rafforzarono posizioni che portavano verso il giacobinismo e la democrazia, la massoneria siciliana incominciò a tessere stretti legami con la Gran Bretagna. Quando gli inglesi con Lord William Bentinck instaurarono il loro protettorato nell’isola per difenderla dall’invasione francese, numerosi massoni, attratti dal modello costituzionale britannico, cercarono di assimilare quell’esperienza e di renderla compatibile con le istituzioni e la società siciliane. Le elaborazioni teoriche che porteranno all’adozione della Costituzione siciliana del 1812, non sono riconducibili ad una matrice massonica. Tuttavia, non si può disconoscere il ruolo della massoneria che, con le sue logge e le nuove èlites reclutate, contribuì a far maturare la svolta liberalmoderata del primo quindicennio dell’Ottocento. Non sappiamo cosa avvenne delle logge massoniche siciliane dopo la Restaurazione. Certamente, entrò in un sonno profondo la piccola rete giacobina che aveva avuto contatti con i domini francesi al di là del Faro. Più visibili furono le officine nate per la presenza inglese nelle città della costa settentrionale (Messina, Palermo e Trapani) che, probabilmente, continuarono ad assolvere il ruolo di garanti nei traffici commerciali delle english factories del Mediterraneo.
Giuseppe Garibaldi
Rilevanza politica ebbe la massoneria nella decade che precedette la spedizione dei Mille. In mancanza di studi approfonditi, non sappiamo se il fitto intreccio di massoneria e carboneria presente durante la rivoluzione siciliana del 1847-48 derivi dal rinato filone giacobino o da una progressiva trasformazione delle logge “inglesi”.
Non si registra, in questo periodo, omogeneità di intenti tra le logge. Ma la vivacità delle contrapposizioni spiega la loro attività durante il periodo precedente e immediatamente successivo all’unificazione. Fino al 1877 non è possibile parlare di massoneria in Sicilia come un fenomeno unitario e congiunto al processo di riorganizzazione massonica peninsulare.
Mentre a Torino, all’indomani dell’Unità, si formò la prima loggia di rito simbolico (Ausonia) e poco più tardi si costituì il Grande Oriente d’Italia, che in breve tempo riuscì a fondere in un unico contenitore molte comunioni già operanti negli Stati preunitari, pressoché contemporaneamente, a Palermo fu costituito il Supremo Consiglio del Grande Oriente di Rito Scozzese Antico ed Accettato.
Rito Scozzese Antico ed Accettato
 
La vicenda siciliana, sin dalle origini, assume dinamiche diverse da quelle che avrebbe percorso la rinata massoneria italiana, e non solo perché da questa è istituzionalmente divisa. Diverso fu, infatti, il processo di aggregazione dopo la clandestinità preunitaria: il Grande Oriente aggregava logge preesistenti che operavano con forte valenza “filosofica”; l’organizzazione siciliana si fondava su movimenti nati da poco e per lo più legati all’esperienza risorgimentale. Diverse erano le componenti organizzative e rituali: di rito simbolico il primo, scozzese la seconda. Diverse, infine, anche le valenze politiche e ideologiche: liberalmoderato e d’ispirazione cavouriana il Grande Oriente, radicaldemocratico, mazziniano e garibaldino il Supremo Consiglio del Grande Oriente siciliano. Questo diverso avvio determinò poi sostanziali differenze nelle successive vicende che caratterizzarono i due ordini. La prevalente valenza “filosofica” dell’esperienza italiana creò da subito un’omogeneità tendenziale che favoriva un governo unitario delle logge sparse nel Regno, mentre in Sicilia la prevalente natura politica dell’organizzazione faceva registrare una difficile coesistenza delle tre anime fondanti: quella garibaldina legata al partito democratico di Crispi, quella mazziniana, scalpitante contro il governo dietro le rivendicazioni dei messinesi, e quella anarchico-internazionalista del medico agrigentino Saverio Friscia che il 2 settembre 1868 giunse a promuovere l’adesione delle logge girgentine al III congresso della Seconda Internazionale Socialista.

Le logge d’ispirazione moderata furono poche: a Messina l’eredità di Giuseppe La Farina si raccolse in una loggia denominata “Vera Luce”, di cui si perderanno le tracce nei primi anni Settanta; a Palermo fu operante una piccola comunione raccolta attorno al principe Romualdo Trigona di Sant’Elia; logge regolari furono fondate nell’isola da Filippo Cordova nel periodo in cui ricoprì la carica di Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.  

Grande Oriente d'Italiia
Il progetto di unificazione della massoneria italiana prese corpo subito dopo l’avvento della Sinistra al potere. Con il nuovo gruppo dirigente, cominciò a maturare il progetto di utilizzare la massoneria come struttura di supporto ideologico e politico al disegno di modernizzazione industriale del paese. In questa direzione, l’obiettivo principale divenne la riunificazione al Grande Oriente d’Italia dei tronconi sparsi per l’Italia. Su iniziativa dell’avvocato Pietro Messineo, Gran Maestro del Supremo Consiglio palermitano, nel luglio 1877, furono avviate proficue trattative con il Grande Oriente d’Italia, ormai stabilmente insediato a Roma capitale. L’assemblea massonica regionale, tenuta a Palermo nei giorni 25-27 novembre 1877, avrebbe ratificato il concordato di adesione, registrando solo pochi dissensi. Gli anni Ottanta rappresentarono un’epoca di generale espansione per la massoneria italiana, ed anche per le comunioni siciliane. Alla fine del decennio, infatti, Francesco Crispi, neopresidente del Consiglio dei ministri, e Adriano Lemmi, da poco assurto alla carica di Gran Maestro dell’Ordine, puntarono a fare della massoneria, secondo la definizione di Gramsci, “il vero partito della borghesia”.

In questo quadro, il partito crispino, nel tentativo di giungere ad una struttura decisionale più agile, si adoperò per la riduzione delle logge, accorpando in esse un maggior numero di iscritti. Con molta fatica riuscì nell’intento, ma la crisi dei Fasci Siciliani del 1894 fece saltare tutti gli equilibri e la massoneria si ritrovò spaccata in un troncone crispino e uno radicaldemocratico di decisa opposizione al governo. Nei quindici anni successivi si ritornò alla frantumazione delle logge in Sicilia, non più governabili in modo unitario dal Grande Oriente d’Italia. Si giunse così alla principale frattura nella storia della massoneria italiana che nel 1908 sanciva la separazione dal Grande Oriente d’Italia, con sede a Palazzo Giustiniani di Roma, degli alti gradi di rito scozzese che formavano il Supremo Consiglio di Rito Scozzese Antico ed Accettato, con sede all’Oriente di Roma in piazza del Gesù.
In Sicilia la frattura divise in due le officine ed è difficilmente valutabile quale dei due tronconi mantenesse la forza preminente. Sul piano politico, lo scontro fu inevitabile. La massoneria giustineanea, che manteneva un indirizzo radicaldemocratico e a tratti giolittiano, divenne protagonista dei fronti popolari con alcune frange del socialismo siciliano. Quella di piazza del Gesù, teosofica e conservatrice, trovò la strada per coalizzarsi con i cattolici nei blocchi di opposizione clerico-moderata di stampo sonniniano. Sul piano nazionale, questa nuova divisione porterà la massoneria di piazza del Gesù a favorire l’ascesa del Fascismo, lasciando l’altra in posizione di attesa fino alla marcia su Roma.

In Sicilia le due anime massoniche, pur rimanendo istituzionalmente distinte, trovarono il modo di riaggregarsi in un unico partito. Verranno entrambe sciolte e perseguitate dal nuovo regime che nella costruzione dello Stato totalitario non tollerava centrali politiche e organizzative di cui non controllava le regole interne di funzionamento. Il resto è storia recente.

Enciclopedia della Sicilia

giovedì 23 giugno 2011

Manovra fiscale da 43 mld, tagli ai comuni

Dovrebbe essere di circa 43 miliardi l'entità della manovra che dovrebbe approdare in Consiglio dei Ministri tra il 28 e il 29 giugno per poi essere approvata in Parlamento entro il 5 agosto. Lo riferiscono fonti parlamentari secondo cui contestualmente al decreto legge sarà presentata anche una delega light sulla riforma fiscale.

Si lavora a un intervento che dovrebbe essere di circa 3 miliardi nel 2011, 5 mld per l'anno successivo mentre 35 miliardi saranno spalmati nel biennio 2013-2014. L’approvazione della legge è prevista entro il 5 agosto dal Parlamento. Cifre e contenuti della manovra cominciano a delinearsi, a partire dai tagli ai comuni che dovrebbero sfiorare i 3 miliardi, quelli ai ministeri dovrebbero aggirarsi sui 5-6 miliardi, mentre sembra confermato il blocco del turn over e il prolungamento al 2014 del congelamento degli aumenti contrattuali per gli statali che la manovra dello scorso anno limitava al 2013.
Anche la spesa sanitaria farà senz'altro la sua parte. Soprattutto quando i costi standard cominceranno ad essere applicati. Dalla lotta agli sprechi e il riordino dei conti di Asl e ospedali si punta a recuperare fra i 4 e i 5 miliardi. Gli interventi in cantiere vanno dalla stretta sull'acquisto di beni e servizi ai farmaci, dal personale ai ricoveri. Corposo anche il pacchetto pensioni su cui sta lavorando il Governo, ma che potrebbe non trovare spazio in manovra ed essere rimandato alla legge di stabilità. Tra le ipotesi quella di anticipare al 2013 l'adeguamento dei requisiti anagrafici di pensionamento di uomini e donne all`aspettativa di vita media.
Insieme alla manovra è atteso il varo di un d.d.l. collegato con la delega sulla riforma fiscale. Conterrà soltanto i principi del riassetto che dovrà entrare a regime entro il 2013.

L'Esecutivo punta a incassare dal disboscamento della giungla delle 476 agevolazioni fiscali fino a 16 miliardi da utilizzare per finanziare il taglio dell'Irpef. Una piccola parte delle risorse potrebbero essere impiegate anche a copertura degli interventi della manovra nel biennio 2013-2014. Un'altra fonte di copertura per finanziare la riduzione da cinque a tre aliquote sarebbe l'aumento dell'Iva, ma l'operazione è ancora in bilico per via delle forti resistenze di alcune categorie.

Restando in tema di manovra e finanza locale, il consiglio direttivo di Anci Lombardia riunitosi a Milano ha votato ieri un ordine del giorno sull’attuale situazione finanziaria dei comuni e sull’attuazione del federalismo. “Registriamo con favore le aperture da parte del Governo sul Patto di stabilità, a proposito del quale da anni rivendichiamo il diritto dei sindaci di utilizzare i fondi che hanno in cassa per gli investimenti sul territorio. Aspettiamo ora che alle aperture seguano i fatti”, ha detto il presidente Attilio Fontana Il quale ha ricordato la situazione critica della finanza locale e del comparto dei comuni in seguito alla manovra 2011-2013, che pesa sui comuni molto più che sugli altri comparti della pubblica amministrazione. Conseguenza di ciò, in Lombardia, è stata una drastica diminuzione (meno 20% secondo i dati Istat) degli investimenti sul territorio, investimenti che avrebbero anche avuto un positivo effetto anticiclico in un periodo di crisi. “Occorre un nuovo Patto di stabilità che metta al centro lo sviluppo economico e la coesione sociale – ha sostenuto Fontana –. Chiediamo che i comuni virtuosi possano impiegare i loro avanzi di amministrazione per investire, chiediamo che si escludano dal Patto le spese per l’edilizia scolastica e per le emergenze ambientali, chiediamo che l’eventuale surplus di risparmio raggiunto dai comuni possa restare nel comparto. Chiediamo che la regione ripercorra la strada del patto di stabilità regionale, facendosi carico di parte degli obiettivi per consentire ai comuni di poter spendere in investimenti”.

Fonte: http://www.diritto.it