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sabato 25 giugno 2011

La storia della massoneria

Massoneria. Nata in Scozia a fine cinquecento, la massoneria (termine che designa sia l’istituto associativo, sia il corpo dottrinario, che ne definisce la struttura e i fini) prese forme stabili e moderne in Inghilterra agli inizi del XVIII secolo. Da lì i modelli organizzativi si diffusero l’”iniziazione” di nobili e di teste coronate, in un un’epoca in cui fu intensamente avvertita l’esigenza di nuove forme di sciabilità politica, culturale e religiosa.

L’ideologia che individua nel popolo massonico il popolo eletto assunse in Europa tratti aristocratici e antidispotici, ed espresse in forma moderata l’anelito al cambiamento che pervase in quel secolo la vita politica e civile. Nei regni meridionali le prime logge si costituirono nel terzo decennio del secolo XVIII. Nell’attività massonica furono coinvolti, sin dall’inizio, rappresentanti del commercio ed esponenti dell’aristocrazia. Il governo di Carlo di Borbone, dopo un iniziale atteggiamento tollerante, dovette procedere ad una moderata repressione in seguito alle condanne della Santa Sede (1738, 1751). Nella seconda metà del Settecento, la massoneria si diffuse soprattutto nelle città portuali di Messina, Palermo e Catania.

Friedrich Munter
Nel 1748-85, un giovane intellettuale danese, Friedrich Munter (vescovo, archeologo, filologo, massone, storico della chiesa), soggiornò a lungo in Italia e nei regni meridionali con il compito di riorganizzare la libera muratoria italiana l’Ordine degli Illuminati di Baviera. Questi costituivano, per progettazione politica, il ramo più radicale del templarismo tedesco ed ebbero una straordinaria diffusione soprattutto nella Germania degli anni Settanta. Le conversazioni, e la successiva corrispondenza con i “fratelli” napoletani e siciliani, offrirono a Friedrich Munter importanti strumenti per la comprensione storico-politica della società meridionale e gli consentirono di cogliere il carattere politico dell’associazione muratorio, e l’antidispotismo (e persino il neorepubblicanesimo) dei settori avanzati della massoneria napoletana.

In Sicilia, Munter incontrò una situazione profondamente diversa. A Palermo, la loggia di San Giovanni di Scozia, nata dall’omonimo tempio di Marsiglia, aveva espresso sin dalla sua fondazione, agli inizi degli anni Settanta, una decisa vocazione cosmopolita nel costruire una fitta rete di corrispondenza e di commerci, soprattutto attraverso il dinamismo e lo zelo massonico del console svizzero Aubert. Più tardi, nel 1779, si era verificata una scissione: un gruppo, seguendo le scelte del Gran Maestro della Gran Loggia Nazionale dello Zelo di Napoli, aveva aderito al Regime scozzese rettificato (riforma di Lione) e aveva assunto, in onore della regina, il nome di “Marie au temple de la Concorde”; altri “fratelli” preferirono conservare l’obbedienza inglese, si organizzarono ed ottennero una patente dal Gran Maestro provinciale del sistema inglese.

La missione di Munter nell’isola si rivelò, tuttavia, “un’impresa a vuoto”. In un giudizio sconsolato sulla massoneria siciliana, egli così registrò il suo fallimento: “La Sicilia non mi sembrò paese adatto alla libera muratoria. La maggior parte vi si accostava per sete di guadagno, per servirsi dei fratelli nelle loro faccende personali ed in affari del mondo profano. E se non ottenevano un risultato positivo si raffreddavano o addirittura tradivano. Altri si annoiavano della nostra cosa, perché non ci capivano nulla. I buoni, però, sono veramente buoni”.
La sovrapposizione di idee e di obiettivi tra massoneria e illuminismo – tema sviluppato da Giuseppe Giarrizzo in un recente, originale e già classico studio sul Settecento europeo – e il conseguente ruolo politico e sociale di cui s’investirono quegli intellettuali per la costruzione di un mondo nuovo e per la formazione dell’opinione pubblica è testimoniato dall’adesione alle logge di numerosi riformatori siciliani. Il dibattito che si accese in Sicilia non riguardò temi speculativi, ma ebbe contorni politici, cercando soluzioni ai problemi sociali e istituzionali. Il coinvolgimento della massoneria nell’azione di governo divenne più forte con la nomina, nel 1786, a vicerè di Sicilia del “fratello” Francesco D’Aquino, principe di Caramanico. Nell’attività riformatrice furono coinvolti il segretario del vicerè Francesco Carelli, il consultore Dragonetti, l’abate Saverio Scrofani, Francesco Paolo Di Blasi, incaricato di compilare una raccolta prammatiche del Regno, Giovanni Agostino de Cosmi, responsabile per l’istituzione di scuole normali, e Tommaso Natale, ministro del Tribunale del Real Patrimonio, a cui fu affidato il compito di proporre la censuazione delle terre demaniali.

Gli intellettuali siciliani, laici ed ecclesiastici, nobili e civili, aderenti alla massoneria furono tutti direttamente impegnati nel progetto riformatore, diventando braccio operativo del governo. Con la Rivoluzione francese, com’è noto, la politica riformatrice subì un deciso arresto. I Borbone di Napoli, che sin allora avevano favorito il mondo massonico, assunsero posizioni repressive nei confronti della massoneria. In questo contesto furono chiuse le logge di Messina, Catania e Palermo. Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, assistiamo a percorsi diversi nella parte continentale e in Sicilia. Mentre nel regno di Napoli si rafforzarono posizioni che portavano verso il giacobinismo e la democrazia, la massoneria siciliana incominciò a tessere stretti legami con la Gran Bretagna. Quando gli inglesi con Lord William Bentinck instaurarono il loro protettorato nell’isola per difenderla dall’invasione francese, numerosi massoni, attratti dal modello costituzionale britannico, cercarono di assimilare quell’esperienza e di renderla compatibile con le istituzioni e la società siciliane. Le elaborazioni teoriche che porteranno all’adozione della Costituzione siciliana del 1812, non sono riconducibili ad una matrice massonica. Tuttavia, non si può disconoscere il ruolo della massoneria che, con le sue logge e le nuove èlites reclutate, contribuì a far maturare la svolta liberalmoderata del primo quindicennio dell’Ottocento. Non sappiamo cosa avvenne delle logge massoniche siciliane dopo la Restaurazione. Certamente, entrò in un sonno profondo la piccola rete giacobina che aveva avuto contatti con i domini francesi al di là del Faro. Più visibili furono le officine nate per la presenza inglese nelle città della costa settentrionale (Messina, Palermo e Trapani) che, probabilmente, continuarono ad assolvere il ruolo di garanti nei traffici commerciali delle english factories del Mediterraneo.
Giuseppe Garibaldi
Rilevanza politica ebbe la massoneria nella decade che precedette la spedizione dei Mille. In mancanza di studi approfonditi, non sappiamo se il fitto intreccio di massoneria e carboneria presente durante la rivoluzione siciliana del 1847-48 derivi dal rinato filone giacobino o da una progressiva trasformazione delle logge “inglesi”.
Non si registra, in questo periodo, omogeneità di intenti tra le logge. Ma la vivacità delle contrapposizioni spiega la loro attività durante il periodo precedente e immediatamente successivo all’unificazione. Fino al 1877 non è possibile parlare di massoneria in Sicilia come un fenomeno unitario e congiunto al processo di riorganizzazione massonica peninsulare.
Mentre a Torino, all’indomani dell’Unità, si formò la prima loggia di rito simbolico (Ausonia) e poco più tardi si costituì il Grande Oriente d’Italia, che in breve tempo riuscì a fondere in un unico contenitore molte comunioni già operanti negli Stati preunitari, pressoché contemporaneamente, a Palermo fu costituito il Supremo Consiglio del Grande Oriente di Rito Scozzese Antico ed Accettato.
Rito Scozzese Antico ed Accettato
 
La vicenda siciliana, sin dalle origini, assume dinamiche diverse da quelle che avrebbe percorso la rinata massoneria italiana, e non solo perché da questa è istituzionalmente divisa. Diverso fu, infatti, il processo di aggregazione dopo la clandestinità preunitaria: il Grande Oriente aggregava logge preesistenti che operavano con forte valenza “filosofica”; l’organizzazione siciliana si fondava su movimenti nati da poco e per lo più legati all’esperienza risorgimentale. Diverse erano le componenti organizzative e rituali: di rito simbolico il primo, scozzese la seconda. Diverse, infine, anche le valenze politiche e ideologiche: liberalmoderato e d’ispirazione cavouriana il Grande Oriente, radicaldemocratico, mazziniano e garibaldino il Supremo Consiglio del Grande Oriente siciliano. Questo diverso avvio determinò poi sostanziali differenze nelle successive vicende che caratterizzarono i due ordini. La prevalente valenza “filosofica” dell’esperienza italiana creò da subito un’omogeneità tendenziale che favoriva un governo unitario delle logge sparse nel Regno, mentre in Sicilia la prevalente natura politica dell’organizzazione faceva registrare una difficile coesistenza delle tre anime fondanti: quella garibaldina legata al partito democratico di Crispi, quella mazziniana, scalpitante contro il governo dietro le rivendicazioni dei messinesi, e quella anarchico-internazionalista del medico agrigentino Saverio Friscia che il 2 settembre 1868 giunse a promuovere l’adesione delle logge girgentine al III congresso della Seconda Internazionale Socialista.

Le logge d’ispirazione moderata furono poche: a Messina l’eredità di Giuseppe La Farina si raccolse in una loggia denominata “Vera Luce”, di cui si perderanno le tracce nei primi anni Settanta; a Palermo fu operante una piccola comunione raccolta attorno al principe Romualdo Trigona di Sant’Elia; logge regolari furono fondate nell’isola da Filippo Cordova nel periodo in cui ricoprì la carica di Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.  

Grande Oriente d'Italiia
Il progetto di unificazione della massoneria italiana prese corpo subito dopo l’avvento della Sinistra al potere. Con il nuovo gruppo dirigente, cominciò a maturare il progetto di utilizzare la massoneria come struttura di supporto ideologico e politico al disegno di modernizzazione industriale del paese. In questa direzione, l’obiettivo principale divenne la riunificazione al Grande Oriente d’Italia dei tronconi sparsi per l’Italia. Su iniziativa dell’avvocato Pietro Messineo, Gran Maestro del Supremo Consiglio palermitano, nel luglio 1877, furono avviate proficue trattative con il Grande Oriente d’Italia, ormai stabilmente insediato a Roma capitale. L’assemblea massonica regionale, tenuta a Palermo nei giorni 25-27 novembre 1877, avrebbe ratificato il concordato di adesione, registrando solo pochi dissensi. Gli anni Ottanta rappresentarono un’epoca di generale espansione per la massoneria italiana, ed anche per le comunioni siciliane. Alla fine del decennio, infatti, Francesco Crispi, neopresidente del Consiglio dei ministri, e Adriano Lemmi, da poco assurto alla carica di Gran Maestro dell’Ordine, puntarono a fare della massoneria, secondo la definizione di Gramsci, “il vero partito della borghesia”.

In questo quadro, il partito crispino, nel tentativo di giungere ad una struttura decisionale più agile, si adoperò per la riduzione delle logge, accorpando in esse un maggior numero di iscritti. Con molta fatica riuscì nell’intento, ma la crisi dei Fasci Siciliani del 1894 fece saltare tutti gli equilibri e la massoneria si ritrovò spaccata in un troncone crispino e uno radicaldemocratico di decisa opposizione al governo. Nei quindici anni successivi si ritornò alla frantumazione delle logge in Sicilia, non più governabili in modo unitario dal Grande Oriente d’Italia. Si giunse così alla principale frattura nella storia della massoneria italiana che nel 1908 sanciva la separazione dal Grande Oriente d’Italia, con sede a Palazzo Giustiniani di Roma, degli alti gradi di rito scozzese che formavano il Supremo Consiglio di Rito Scozzese Antico ed Accettato, con sede all’Oriente di Roma in piazza del Gesù.
In Sicilia la frattura divise in due le officine ed è difficilmente valutabile quale dei due tronconi mantenesse la forza preminente. Sul piano politico, lo scontro fu inevitabile. La massoneria giustineanea, che manteneva un indirizzo radicaldemocratico e a tratti giolittiano, divenne protagonista dei fronti popolari con alcune frange del socialismo siciliano. Quella di piazza del Gesù, teosofica e conservatrice, trovò la strada per coalizzarsi con i cattolici nei blocchi di opposizione clerico-moderata di stampo sonniniano. Sul piano nazionale, questa nuova divisione porterà la massoneria di piazza del Gesù a favorire l’ascesa del Fascismo, lasciando l’altra in posizione di attesa fino alla marcia su Roma.

In Sicilia le due anime massoniche, pur rimanendo istituzionalmente distinte, trovarono il modo di riaggregarsi in un unico partito. Verranno entrambe sciolte e perseguitate dal nuovo regime che nella costruzione dello Stato totalitario non tollerava centrali politiche e organizzative di cui non controllava le regole interne di funzionamento. Il resto è storia recente.

Enciclopedia della Sicilia

sabato 27 novembre 2010

La storia mai raccontata sul Regno delle due Sicilie

Alla vigilia dell'invasione, il Regno delle Due Sicilie godeva di prosperità e stabilità. Contrariamente a ciò che si voluto ritenere, l'amministrazione dei Borbone aveva fatto delle regioni del sud e di Napoli in particolare le terre meglio governate della penisola.
Tristemente, a tutto ciò si mise fine nell'inverno del 1860-1861 grazie unicamente alla spregiudicatezza della politica piemontese, alle incertezze borboniche e al tradimento di chi avrebbe dovuto difendere trono e patria.




Giuseppe Garibaldi:
Sebbene tutta la penisola conoscesse già Garibaldi nelle vesti di schiavista (lo comprovano le sue scorribande in America Latina), viene comunque assoldato e condotto alla partenza con i suoi “Mille”. Partono da Quarto (Genova) imbarcati sui piroscafi “Piemonte” e “Lombardo”, alla volta del Regno delle Due Sicilie. A Garibaldi era stata segretamente versata dal governo inglese e dal Piemonte l'immensa somma di tre milioni in piastre d'oro (molti milioni di dollari odierni), che sarebbe servita soltanto a corrompere i dignitari borbonici e pagare il loro tradimento. Ma finita l’invasione, il Garibaldi acquistò con i soldi rubati dall'erario del Banco di Napoli, l’intera isola di Caprera., tanto che qualche anno più tardi egli si vide recapitare una lettera del direttore del suddetto istituto bancario, con la richiesta esplicita di restituzione della somma sottratta, volendo credere che questo fosse solo un prestito “mal chiesto”. Non restituì nulla. Il valoroso percepì anche un "contentino", versatogli in parte dal Re Vittorio Emanuele II e in parte dagli Inglesi, per un totale di 3 milioni. Entrata così a far parte del Regno d'Italia, la Sicilia, nel giro di pochi anni si vide spogliata dell'ingente patrimonio di quei Beni Ecclesiastici che fruttarono allo Stato 700 milioni del tempo, della riserva d'oro e d'argento del suo Banco di Sicilia, e vide portato il carico tributario a cinque volte piú del precedente.