La storia di Placido Rizzotto
Le ossa che erano state ritrovate nel settembre 2008 nelle foibe della
Rocca Busambra sono quelle del sindacalista di Corleone
Placido Rizzotto,
che, secondo le prime indagini, venne ucciso il 10 marzo 1948 da Luciano
Liggio e da due suoi complici, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura
(che inizialmente confessarono, poi ritrattarono e furono prosciolti
per insufficienza di prove). Che le ossa siano di Rizzotto lo ha
stabilito la polizia scientifica di Palermo comparando il Dna di quelle
ossa con quelle di suo padre, il cui corpo è stato riesumato e risulta
compatibile al 76%. Questo riapre la fosca pagina della mafia di
Corleone che poi divenne «dominus» di Cosa Nostra siciliana. Subito dopo
la guerra il paese era controllato dalla mafia, che aveva come capo il
medico Michele Navarra, notabile democristiano, come suo vice Governale e
come picciotti Luciano Liggio, «Cocciu di focu», Totò Riina e Bernardo
Provenzano. Liggio aveva la sua abitazione davanti alla caserma dei
carabinieri dove c'era allora il capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa,
tutti personaggi dalle storie intrecciate che ritroveremo cinquant'anni
dopo a Palermo.
Liggio cominciò a 17 anni uccidendo il primario
dell'ospedale dei Bianchi, dottor Nicolosi, per dare modo al medico boss
Michele Navarra di prendere il suo posto. Dopo qualche anno chiese a
Navarra che sarebbe stato il caso di sbarazzarsi anche di Placido
Rizzotto, 34 anni, segretario della Camera del lavoro, che teneva comizi
in piazza incitando i contadini ad occupare le terre («Quello mette
strane idee in testa alla gente»).
In realtà Liggio aveva un altro
scopo: si era invaghito di Leoluchina Sorisi, fidanzata di Rizzotto.
Tanto insistette che Navarra gli diede il consenso ad uccidere il
sindacalista. Dicono le prime indagini che Rizzotto venne sequestrato
all'uscita da un bar del paese da Liggio, Criscione e Collura e condotto
per le campagne fino alla Rocca Busambra dove lo gettarono in una
«ciaccazza» profonda cinquanta metri. Durante questa camminata per le
campagne il gruppo era stato visto da un pastorello di 13 anni,
Giuseppe Letizia. Impressionato da quella visione il ragazzino era stato
colto da febbre e portato in ospedale. E lì il primario Navarra gli
fece una iniezione letale. Il medico boss tuttavia aveva capito che
Luciano Liggio gli aveva chiesto di uccidere Rizzotto per suoi motivi
personali, e cominciarono i primi contrasti, per cui Navarra aveva
mandato un suo commando a sparare a Liggio che nel frattempo si era
rifugiato in campagna assieme a Riina e Provenzano che «aveva un
cervello di gallina, ma sparava come un dio». Avvenne un conflitto a
fuoco in cui Liggio rimase ferito. Lo scontro avrebbe potuto proseguire
se non fosse intervenuta la potente mafia di Altofonte che indusse
Navarra a perdonare Liggio, che in fondo aveva agito per amore. Il
medico boss perdonò, ma fece male i suoi conti perché «Cocciu di focu»
lo attese al ritorno da una visita a Palermo e crivellò la sua auto a
raffiche di mitra uccidendo il suo boss e un medico che lo accompagnava,
Domenico Russo.
Sbarazzatosi di Placido Rizzotto e del suo boss,
Luciano Liggio era diventato l'incontrastato capomafia di Corleone. Ai
funerali di Rizzotto, la sua fidanzata Leolochina Sorisi gridò:
«A chi
ti ha ucciso mangerò il cuore». Invece accadde il contrario: ospitò a
casa «Lucianuzzu». Fece arrivare una squadra di muratori e aggiustò la
sua abitazione dicendo che stava per ricevere un parente dall'America.
Invece in casa c'era Luciano Liggio, che venne ritrovato dietro una
finta parete dagli uomini del questore Mangano (o pare del colonnello
dei carabinieri Milillo: la questione non è mai stata chiarita).
Ma
Liggio ebbe modo di cavarsela ai processi. Per l'uccisione di Rizzotto
fu assolto con formula dubitativa - all'epoca il procuratore di Palermo
era Pietro Scaglione - perché il cadavere della vittima non era stato
ancora trovato, ci volevano troppi soldi per scandagliare le foibe della
Rocca Busambra, e solo nel 2008 si poterono estrarre le ossa. A quel
tempo la giustizia palermitana funzionava così. Per tutti gli altri
delitti, al processo fatto a Bari per legittima suspicione fu assolto
per insufficienza di prove perché ai componenti della Corte d'assisse
alla vigilia del verdetto arrivò questa lettera:
«Liggio e gli altri
corleonesi sono innocenti. Il loro sangue ricadrà sulle vostre
famiglie». E così Liggio tornò libero e scese dalle montagne a Palermo
con Riina e Provenzano trovando rispetto e ammirazione tra i mafiosi di
città. Cominciò a fare soldi con i flipper, poi crescendo in potenza
entrò nella Cupola di Cosa Nostra e fece uccidere tutti i capi della
mafia palermitana, dal «principe di Villagrazia» Stefano Bontade a
Totuccio Inzerillo e a tutti gli altri. La faida degli anni 80 la
vinsero i corleonesi perché non erano conosciuti dai mafiosi
palermitani, mentre loro sapevano benissimo quali erano i bersagli da
colpire. Fu così che partendo dall'uccisione di Placido Rizzotto nel
1948 la mafia corleonese divenne padrona fino agli anni 90, quando
Liggio, catturato a Milano, era stato già sostituito da Riina e
Provenzano.
Dopo 64 anni, finalmente, sono stati ritrovati i resti scheletrici del sindacalista sequestrato e ucciso dalla mafia nel 1948. Mi unisco a quanti chiedono ormai a gran voce e giustamente (David Sassoli, Walter Veltroni, Vincenzo Vita, Giuseppe Giulietti) i "
Funerali di Stato per Placido Rizzotto"
.
Per dire che lo Stato non dimentica.. Per dire che la Mafia non vince.. Per ricordare ai più giovani che un uomo è stato ucciso perchè ha lottato per la giustizia e la libertà.