Pino Maniaci è una forza della natura, impossibile da contenere nel suo eloquio appassionato contro la mafia. Pino Maniaci è un’autorità, è più credibile delle istituzioni, al punto che nella sua Partinico i cittadini le denunce non le mandano alle forze dell’ordine, ma alla sua televisione. E al punto che il legislatore gli manda le delibere prima di approvarle, per farsi dire da lui se possono favorire la mafia. Pino Maniaci è anche un padre, preoccupato del coinvolgimento della sua famiglia (la moglie Patrizia e i tre figli Letizia, Giovanni e Simona) in quella che è un’avventura esaltante, ma anche un’attività che mette a rischio la loro incolumità.
Però Pino Maniaci è anche un uomo arrabbiato. Con le istituzioni, con la sua gente e con chi non si ribella. «La mafia non è un problema solo del sud, anzi. Almeno in Sicilia dobbiamo combattere solo Cosa nostra, qui avete a che fare con le mafie meridionali che si sono messe d’accordo con quelle dell’Est Europa. Ma non vi interessa. In Sicilia abbiamo avuto gli ultimi quattro presidenti della Regione e 30 dei 90 deputati dell’Assemblea regionale indagati per mafia. Siamo 5 milioni di cittadini e per colpa di 5 mila malavitosi la Sicilia è diventata terra di mafia. Io vorrei capire perché con tutto quello che succede non vi incazzate».
Lo switch off di giugno, però, potrebbe far sparire sia Telejato che Pino Maniaci. Ecco perchè le associazioni “Dieci e venticinque” e
“Rita Atria” hanno scritto una lettera aperta al ministro delle Attività produttive, Corrado Passera, per
chiedere il salvataggio di Telejato, la televisione di Partinico famosa
per il suo tg e soprattutto per le battaglie del suo direttore Pino
Maniaci.
Le condizioni imposte dal bando di assegnazione delle frequenze
sembrano infatti tagliare fuori Telejato dalla competizione. La piccola
televisione del Palermitano rischia di essere una di quelle 50
emittenti siciliane che con lo switch off, ossia il passaggio dal
sistema analogico a quello digitale terrestre, cesseranno
definitivamente di trasmettere il prossimo 30 giugno.
“Tra pochi giorni, il 9 maggio – scrivono le due associazioni –
ricorrerà il trentaquattresimo anniversario dell’uccisione mafiosa del
giornalista Peppino Impastato. L’Italia intera si appresta a commemorare
il coraggio di un giovane che, insieme ai suoi compagni, dai microfoni
di “Radio Aut” denunciava senza paura gli interessi mafiosi, a Cinisi e
oltreoceano, del boss Badalamenti. Senza omissioni o connivenze, con la
sola arma della libertà e dell’ironia. Pagando la sua dedizione e il suo
coraggio, con la vita. Oggi, a trentaquattro anni da quel 9 maggio
1978, molti altri cronisti e operatori dell’informazione seguono il suo
esempio rischiando ogni giorno per poter svolgere a testa alta e schiena
dritta il lavoro di giornalisti. Tra questi: Giuseppe Maniaci e la sua
redazione di Telejato, emittente televisiva con sede a Partitico”.
Secondo ‘Dieci e venticinque’ e ‘Rita Atria’ “paradossalmente, una legge
della Repubblica potrebbe riuscire a fare quello che cosa nostra non è
riuscita a fare. Da anni, infatti, la ‘televisione più piccola del
mondo’ trasmette ‘il tg più lungo del mondo’ in una zona ad alta densità
mafiosa raggiungendo 22 comuni della Sicilia orientale, facendo
informazione libera e denunciando il malaffare senza nascondersi.
Proprio quest’attività sociale di denuncia è valsa al suo volto e alla
redazione, svariate querele, intimidazioni (le ultime, pochi giorni fa),
aggressioni e attentati”.
Le due associazioni difendono a spada tratta Telejato anche facendo
precisi riferimenti normativi e affermando che quella partinicese “è una
televisione locale comunitaria. In conformità con la legge Mammì (n.
223 del 6 agosto 1990), quindi, ha uno statuto di Onlus e non quello di
una tv commerciale. Di qui, il limite agli spot pubblicitari: solo 3
minuti ogni ora di trasmissione. A mettere a rischio l’esistenza stessa
di Telejato e l’incolumità dei suoi artefici, oltre alla mafia anche lo
switch-off, il passaggio cioè dall’analogico al digitale nel mese di
giugno in Sicilia”.
I firmatari della lettera aperta lodano il governo Monti aver, nelle
scorse settimane, “messo fine alla beffa del beauty contest” stabilendo
il ricorso ad un’asta. Ma ricordano che Telejato, così come le altre 200
televisioni comunitarie, proprio per il suo status di televisione
comunitaria e di onlus, è priva di un bilancio adeguato a partecipare
all’asta, vedendo così inesorabilmente cancellata la sua possibilità di
trasmissione. Al tempo stesso invitano l’esecutivo a riflettere sul
“grave danno che sarà apportato al sistema informativo e al diritto alla
libera informazione dei cittadini” escludendo Telejato dalle
concessioni e a tutelare il lavoro delle televisioni comunitarie e
locali.
“Noi ci chiediamo e le chiediamo – scrivono le due associazioni
rivolgendosi al ministro Passera – il legislatore ha riflettuto sulle
conseguenze dello spegnimento di Telejato? Telejato deve essere
considerato un bene culturale, al pari di ogni altro monumento artistico
italiano: se l’arte rinnova i popoli, anche la controinformazione di
Telejato in Sicilia può farlo. L’informazione può aiutare giovani e meno
giovani a prendere coscienza di quello che li circonda e a scegliere.
La scelta contribuirà a migliorare una delle regioni d’Italia, da qui
anche la nostra Repubblica lo sarà”.
La lettera si conclude con un invito al ministro e all’intero governo
a valutare a “porre alla sua attenzione un aspetto umano drammatico,
crudo, scevro da retorica: la mafia uccide. La mafia non dimentica. La
mafia colpisce più facilmente quando cala il silenzio e l’opinione
pubblica si distrae. L’informazione rappresenta il sistema immunitario
dell’opinione pubblica: se calano le difese immunitarie è più
attaccabile. Ad essere uccisi sarebbero molte coscienze, ma prima d’ogni
altro lo Stato italiano deve avere a cuore le sorti dell’uomo e
cittadino Pino Maniaci e dei suoi familiari”.
Tratto da: ilariaraffaele.wordpress.com e blogsicilia.it
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