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venerdì 2 luglio 2010

Giulietto Chiesa: io, Di Pietro e quei soldi


Antonio Di Pietro? «E’ un uomo di potere, ma soprattutto è una persona sleale e scorretta, che usa il finanziamento pubblico per assicurarsi il controllo totale del suo partito, e quindi per conservare e incrementare il suo ruolo nella scena politica italiana».

Giulietto Chiesa, 70 anni a settembre, è stato eletto all’Europarlamento nel 2004 proprio nella lista capeggiata da Di Pietro, in un’alleanza di breve durata tra l’ex pm e Achille Occhetto. Chiesa, appunto, era candidato “in quota” a Occhetto e fu eletto a Strasburgo dopo la rinuncia dell’ex segretario del Pds. Il divorzio politico, poi, divenne una sanguinosa questione di soldi e di finanziamento pubblico che Di Pietro «si prese per intero», lasciando a secco l’altra componente, che lo portò in tribunale.
Ora che Di Pietro è indagato proprio per una presunta appropriazione non lecita di rimborsi elettorali, Piovonorane ha chiesto a Chiesa di raccontare la sua versione e i suoi ricordi di quel 2004.

Iniziamo da quando lei divenne europarlamentare con l’Italia dei Valori.
«Per la precisione, era una lista di coalizione tra Antonio Di Pietro e Achille Occhetto. Io fui chiamato appunto da Occhetto, che mi propose di candidarmi. Poi ebbi un colloquio con Di Pietrò e tutto sembrò andare bene».

In che senso?
«Io posi una questione per me dirimente, quella del pacifismo e dell’opposizione alla guerra in Iraq. Spiegai a Di Pietro le mie posizioni in merito, e lui mi rispose che non era ferratissimo sul tema ma si fidava di me, insomma non c’erano problemi. Così accettai la candidatura».

E poi?
«La lista andò male, meno del due per cento. Con due eletti, ovviamente Di Pietro e Occhetto. L’ex segretario del Pds però scelse di restare senatore e si dimise. Quindi gli subentrai io, primo dei non eletti».

E con Di Pietro?
«All’inizio ci fu una separazione consensuale, morbida. Insomma, avevamo capito subito che l’alleanza tra lui e Occhetto non aveva funzionato in termini di voti e quindi conveniva a tutti andare per la propria strada. Da una parte lui, con l’Italia dei Valori, dall’altra parte noi – diciamo – “occhettiani”, che ci chiamavamo Il Cantiere. Ma, ripeto, all’inizio non litigammo. Anzi, Di Pietro mi chiese di iscrivermi al gruppo liberal-democratico, per fargli avere più peso, e io accettai, anche se ero un po’ perplesso».