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mercoledì 27 giugno 2012

Uscire dall'euro o salvarlo?

Salvare l'euro? Uscire dall'euro? Investire all'estero in Paesi non facenti parte della moneta unica? Tre punti di riflessione alla vigilia del 29 giugno, data in cui sarà in gioco l'Europa, e bisogna convincere i mercati «che sarà rafforzata la volontà di rendere la moneta unica indissolubile e irrevocabile».

E' la posizione di Mario Monti, presidente del Consiglio, in vista del vertice di Bruxelles del 28 e 29 giugno e a poche ore dal vertice propedeutico di ieri a Roma con Hollande e Rajoy che cercheranno di convincere la Merkel a rilanciare l'Ue, tramite misure "concrete" e a "lungo termine" sulla crescita. Monti ha poi aggiunto che è necessaria per il futuro dell'Unione «una piena unione bancaria e meccanismi per fare ponte con quei Paesi che rispettano gli impegni, ma scontano una certa diffidenza».  

Vediamo le posizioni sull'euro.
Se per la maggior parte degli economisti, banchieri e politici con la moneta unica c'è in gioco l'intera Europa, così non la pensa l'ex premier Silvio Berlusconi. L'Italia «fuori dall'euro non è una bestemmia», ha dichiarato Berlusconi al Wall Street Journal. La ricetta per il cavaliere è semplice: uscire dall' Eurozona «così da poter pensare a procedere con una svalutazione competitiva». Un ritorno alla moneta nazionale, dunque, un gesto azzardato ma che per Berlusconi avrebbe anche i suoi vantaggi, come ad esempio svalutare la valuta e incrementare la domanda dei beni prodotti. Un ritorno in campo ad hoc sul quale non si sono fatti attendere, come di consueto, i commenti di politici e non solo. In primis, la risposta risoluta contro la ricetta di Berlusconi è arrivata dal neo presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «L'euro va difeso fino in fondo e ci deve essere una determinazione, che attraversa tutta l'Europa, per sostenerlo». Anzi, la soluzione per riemergere dalla crisi per Squinzi è semplice, quasi ovvia: seguire la direzione degli altri Stati uniti d'Europa, con tutto quello che ne consegue, «coordinamento delle politiche fiscali, del welfare, investimenti strutturali e politica energetica, ma soprattutto, la creazione di una banca centrale europea con veri poteri di banca centrale». Contrario alla proposta di Berlusconi anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che la trova «francamente incomprensibile». E' «un disastro per la gente normale» invece per il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, ma un «affarone» per quelli che hanno portato gli euro all'estero.

Ecco il punto. Chi ha portato i soldi all'estero? Cioè in Paesi che non hanno adottato l'euro come moneta nazionale? Uno dei Paesi che ha subìto forti pressioni è la corona danese scelta da parte degli investitori in cerca di un rifugio in Europa. Una pressione molto forte, provocata dall'attrazione degli investitori dal ridotto deficit di bilancio del Paese e dal surplus delle partite correnti. Attrazione che li porta a versare denaro in obbligazioni danesi, dove i tassi nell'ultimo mese sono stati tagliati due volte arrivando al minimo storico dello 0,45%. A rendere la situazione più complicata alla Banca centrale sono alcuni hedge funds, che stanno prendendo posizioni sulla corona danese come assicurazione contro un eventuale crollo dell'euro. Stessa situazione si sta verificando in Svizzera e nel Regno Unito. La Banca centrale svizzera ha intrapreso nuove misure per proteggere i suoi finanziatori da un'eventuale crisi dell'euro, rafforzando le difese della sua moneta contro i numerosi flussi degli speculatori. La sterlina, intanto, è ai suoi massimi pluriennali nei confronti della moneta unica, confermando il suo status di rifugio. In questi ultimi tempi, mentre in Italia si sta verificando la crisi del mattone, proprio a Londra e dintori non pochi italiani avrebbero acquistato appartamenti e ville.

Ma ci sono altri Paesi verso cui sono arrivati euro in cerca di rifugio. Sono stati definiti le "Nuove Tigri" europee: si tratta di Polonia e Turchia, due nazioni che, nonostante la crisi economica globale, si sono salvate dal disastro finanziario proprio perché fuori dall'euro. Secondo un articolo di William L. Watts su MarketWatch, questi due Paesi stanno entusiasmando gli osservatori per la loro "freschezza" economica: nonostante la disoccupazione elevata, le valute volatili e la dipendenza dagli investimenti esteri - elementi che potrebbero in futuro ritorcersi contro, soprattutto se la crisi dell'Eurozona andasse fuori binario - i bassi livelli di debito, l'espansione e il rafforzamento della classe media hanno permesso a Polonia e Turchia di risalire la propria economia.

Si pensi che, in controtendenza con le ripetute bocciature della maggior parte delle economie europee, Moody's l'latro ieri ha deciso di promuovere di un gradino il rating della Turchia, potenza economica emergente del Mediterraneo est, portandolo da Ba2 a Ba1. L'agenzia di rating, ha inoltre confermato la prospettiva positiva assegnata alla Turchia, che l'anno scorso ha registrato un ritmo di crescita dell'8,5%.

giovedì 13 ottobre 2011

Appello per l'Europa

Pubblichiamo il testo di una lettera aperta firmata da 100 eminenti personalità europee, tra i quali ex presidenti, capi di Governo, ministri degli Esteri e dell'Economia, commissari Ue, imprenditori , economisti e intellettuali. Tra i firmatari George Soros, Joschka Fischer, Emma Bonino, Mario Baldassarri ed Emma Marcegaglia.

La crisi dell'euro richiede una soluzione, subito. Le attuali misure, insufficienti e tardive, condizionano negativamente la situazione finanziaria globale. L'euro non è certo perfetto, come ci ha mostrato questa crisi. Ma la soluzione consiste nel correggerlo piuttosto che nel permettergli di minacciare e forse distruggere il sistema finanziario globale.

Noi, preoccupati per il futuro della nostra Europa, facciamo appello ai governi dell'Eurozona affinché raggiungano un consenso sulla necessità di un accordo giuridicamente vincolante che:
  1. stabilisca una tesoreria unica che raccolga fondi per l'Eurozona nel suo complesso e garantisca che gli stati membri aderiscano alla disciplina fiscale; 
  2. rafforzi la supervisione e regolamentazione finanziaria comune e crei un sistema centralizzato di tutela dei depositi all'interno dell'Eurozona; 
  3. sviluppi una strategia che produca sia convergenza economica che crescita, dato che il problema del debito non si può risolvere senza crescita. 
Fino a quando non verrà negoziato e ratificato un accordo giuridicamente vincolante, i governi dell'Eurozona dovranno dare mandato al Fondo europeo per la stabilità finanziaria (EFSF) e alla Banca centrale europea (BCE) per cooperare al fine di riportare la crisi sotto controllo. Tali istituzioni potrebbero garantire ed, infine, ricapitalizzare il sistema bancario e permettere ai paesi in difficoltà di rifinanziare il proprio debito, entro limiti prestabiliti, emettendo buoni del tesoro che possono essere ceduti a risconto alla BCE, di fatto senza costi.

Facciamo appello ai Parlamenti dei paesi dell'Eurozona affinché riconoscano che l'euro richiede una soluzione europea. La ricerca di soluzioni a livello nazionale può solo portare alla dissoluzione.

Tra i cento firmatari di questa lettera aperta ci sono: Martti Ahtisaari (Finlandia), Emma Bonino, Bertrand Collomb (Francia), Jean-Luc Dehaene (Belgio), Hans Eichel (Germania), Joschka Fischer (Germania), Alfred Gusenbauer (Austria), Bernard Kouchner (Francia), Emma Marcegaglia (Italia), Tadeusz Mazowiecki (Polonia), Ana Palacio (Spagna), Javier Solana (Spagna), Pedro Solbes (Spagna), Guy Verhofstadt (Belgio), Vaira Vike-Freiberga (Lettonia), Antonio Vitorino (Portogallo).
Tra i firmatari ci sono anche gli altri italiani Mario Baldassarri, Massimo D'Alema, Gianfranco Dell'Alba, Fiorella Kostoris, Giuseppe Scognamiglio.

Leggi anche: Soros: «Una vera riforma per il Trattato Ue»

Fonte: ilsole24ore.com