L'Italia sta affrontando la più seria crisi economica e sociale dal dopoguerra. Il governo Monti ha preso misure severe ma indispensabili per porre in sicurezza il Paese. Si lavora ora alla crescita, dopo lunghi anni di stagnazione che hanno visto l'Italia perdere posizioni tra i grandi Paesi avanzati. Al centro dell'attenzione vi sono soprattutto tre temi: liberalizzazioni e efficienza della pubblica amministrazione, nuova regolazione dei rapporti di lavoro, infrastrutture. Sono tutti obiettivi importanti per avviare la ripresa. Occorre però sottolineare con forza che non avremo una crescita solida e un'Italia più civile se non si affermerà nel Mezzogiorno uno sviluppo capace di auto-sostenersi. E' dunque importante che la svolta avviata dal nuovo governo nell'affrontare il problema del Sud si realizzi e si rafforzi in modo da farne un pilastro centrale di una strategia per la crescita del Paese che possa «valorizzare il potenziale di crescita inutilizzato del Mezzogiorno», come ha scritto il presidente Monti nel Documento di economia e finanza 2012. E' altresì importante che l'azione del governo sia sostenuta da una maggiore consapevolezza e da un maggior impegno su questo tema della classe dirigente del Paese e dei media, e che si avvii una discussione costruttiva al di là di logori stereotipi.
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Più volte, a partire dagli anni successivi all'Unità, è stato sottolineato il legame tra Mezzogiorno e sviluppo complessivo dell'Italia. Oggi tale legame è diventato ancora più stretto per diversi motivi sui quali intendiamo attirare l'attenzione.
Il processo di globalizzazione dell'economia, l'integrazione europea e l'ingresso nell'euro, con l'impossibilità di svalutare la moneta, hanno cambiato profondamente il quadro. Per poter competere più efficacemente nell'economia globalizzata, e per migliorare le condizioni dei lavoratori, è necessario abbassare al più presto il carico fiscale, che grava sulle imprese e sul lavoro, e potenziare infrastrutture e servizi collettivi. Ciò richiede che si abbassi il debito pubblico riducendo la spesa e migliorandone efficienza.
La via maestra passa dalla crescita economica del Sud. Solo la crescita potrà consentire di far scendere progressivamente i trasferimenti a favore delle regioni meridionali, il cui importo annuo è vicino al costo degli interessi sul debito. Tali trasferimenti sono oggi necessari per permettere a tutti i cittadini italiani - del Nord e del Sud - l'accesso ai diritti fondamentali garantito dalla nostra Costituzione. Non si tratta certo di limitare la fruizione di beni come l'istruzione, la sanità, l'assistenza per i cittadini del Sud, ma di operare perché il costo di questi servizi possa essere ridotto rendendoli più efficienti, e soprattutto possa essere sempre più finanziato con risorse delle regioni meridionali attraverso uno sviluppo capace di auto-sostenersi.
Se ciò non accadrà, si determineranno, anche per effetto della pesante crisi di questi ultimi anni, situazioni di ancor più grave disagio economico e sociale (i dati sull'occupazione giovanile e femminile offrono un quadro semplicemente inaccettabile). Ci sarà un'ulteriore spinta al processo di compenetrazione in corso tra criminalità organizzata e economie locali. Il Sud diventerà la base di un'economia criminale che tende a estendersi alle regioni settentrionali. Anche per questa via, dunque, il nodo del Mezzogiorno, rischia di condizionare pesantemente lo sviluppo di tutto il Paese.
D'altra parte, occorre ricordare che il Sud costituisce oggi non solo un vincolo più stringente che nel passato, ma anche una nuova opportunità. Nelle regioni meridionali vi sono risorse locali sottoutilizzate che riguardano la collocazione logistica, il potenziale di risorse energetiche, il patrimonio culturale e ambientale, le conoscenze scientifiche radicate nelle università, il saper fare diffuso in agricoltura e in attività manifatturiere. I cambiamenti nei mercati accrescono ora il valore potenziale di queste risorse per lo sviluppo. L'uso efficace di questo patrimonio non solo segnerebbe una svolta per il Sud ma farebbe da volano alla crescita anche per il Nord.
Non si tratta di chiedere trattamenti speciali e privilegi indulgendo a un rivendicazionismo deteriore - spesso brandito dalle classi dirigenti meridionali come alibi per il loro fallimento - ma a lungo assecondato per convenienze di parte anche dai Governi nazionali. Una nuova strategia per il Sud deve assumere come obiettivo imprescindibile la lotta contro ogni forma di assistenzialismo e di clientelismo, deve promuovere la formazione di classi dirigenti più sensibili all'interesse generale e deve porsi nel quadro di un disegno nazionale di sviluppo di tutto il Paese.
La svolta per lo sviluppo del Sud può realizzarsi con finanziamenti sostenibili per i conti pubblici. Non si tratta di continuare a inseguire una generica industrializzazione a suon di incentivi tanto inutili e dannosi quanto costosi. Ciò che si richiede è un impegno costante e una strategia del governo nazionale finalizzata a orientare efficacemente le classi dirigenti - pubbliche e private - a innovare nei loro comportamenti. A differenza che nel passato, esse devono essere incoraggiate - con misure di promozione ma anche con sanzioni - a valorizzare quelle risorse locali che ci sono e che sono gravemente sottoutilizzate, non tanto per carenze di fondi, ma soprattutto per la difficoltà di realizzare beni e servizi collettivi che qualifichino l'ambiente economico e sociale.
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Il nuovo governo ha mostrato subito attenzione al problema del Sud nella crescita. Ha avviato un'innovativa riprogrammazione dei Fondi strutturali europei, non solo per accelerare la capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, con la concentrazione su alcuni obiettivi (scuola e formazione, ferrovie, agenda digitale, occupazione, servizi di cura per bambini e anziani), con la maggiore responsabilizzazione delle strutture politico-amministrative centrali, con un orientamento ai risultati tramite obiettivi misurabili. Sono stati inoltre sbloccati i fondi nazionali (ex Fas) con rilevanti allocazioni di risorse su obiettivi infrastrutturali.
Questi interventi si inseriscono nella definizione di una strategia del Sud che intende migliorare l'efficienza delle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno, ponendo però anche maggiore attenzione che nel passato alla qualità delle politiche ordinarie come fattore di sviluppo: sanità e assistenza, istruzione e formazione, giustizia e sicurezza.
Chiediamo dunque che il governo proceda rapidamente a sviluppare e a dare attuazione concreta a questa strategia sia sul versante delle politiche ordinarie che su quello delle politiche di sviluppo dei territori.
Per quel che riguarda gli interventi ordinari, la spending review, estesa a tutte le amministrazioni pubbliche, incluse quelle regionali, e all'uso dei trasferimenti, può essere un'occasione importante per affrontare energicamente e organicamente distorsioni nell'allocazione delle risorse che non solo gravano sulla finanza pubblica, ma finiscono per essere di ostacolo allo sviluppo perché creano aree di rendita politica e ostacolano la crescita di solide attività di mercato.
Per quel che riguarda le politiche attive di promozione dello sviluppo e della coesione, è auspicabile che si rafforzi e si estenda la linea già avviata di riprogrammazione dei fondi strutturali europei e la loro integrazione con i fondi nazionali volta a qualificare l'ambiente economico e sociale. E' opportuno ridurre drasticamente il ricorso a incentivi nazionali e regionali a singoli operatori economici, che sono largamente inefficienti. Sono invece necessari interventi innovativi a sostegno delle città e dei territori che - attraverso una migliore dotazione di beni e servizi collettivi - promuovano la valorizzazione di risorse locali oggi cruciali: dall'agricoltura ai beni culturali e ambientali, dalle conoscenze scientifiche alle specializzazioni manifatturiere di qualità.
Una strategia intelligente e sostenibile per le finanze pubbliche che ponga al centro la questione della valorizzazione delle risorse locali è oggi possibile. Essa va rapidamente messa in opera a vantaggio non solo del Sud ma di tutto il Paese.Il manifesto è stato sottoscritto da Maria Luisa Averna, Arnaldo Bagnasco, Piero Bassetti, Aldo Bonomi, Carlo Borgomeo, Mauro Calise, Don Luigi Ciotti, Innocenzo Cipolletta, Biagio de Giovanni, Guglielmo Epifani, Adriano Giannola, Paolo Graziano, Giuseppe Guzzetti, Ivan Lo Bello, Alberto Meomartini, Savino Pezzotta, Giovanni Puglisi, Sergio Ristuccia, Michele Salvati, Maria Teresa Salvemini, Antonio Sellerio, Gianfranco Viesti, Massimo Villone, Marco Vitale.