Il governo della Russia discrimina le importazioni di vino dall’Italia con un aumento delle imposizioni fiscali.
È quanto l’onorevole Calogero Mannino denuncia nell’interrogazione parlamentare rivolta al Presidente del Consiglio Mario Monti, al Ministro degli affari esteri, Giulio Maria Terzi di Sant’Agata e al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania.
Secondo i dati Istat, le spedizioni verso Mosca sono passate da una
crescita del 91% a marzo 2011 al +25% di giugno. Un risultato ancora
positivo ma che evidenzia una significativa battuta d'arresto rispetto
al boom d'inizio anno. Rischia così di perdere appeal un mercato che si
candidava a entrare, nel giro di pochi anni, tra i primi quattro clienti
del vino italiano (alle spalle di Stati Uniti, Germania e Regno Unito).
Le ragioni di questo stop sono da ricercare in due aspetti. Da un lato il
nuovo, più pesante, sistema di dazi introdotto all'inizio dell'anno e,
dall'altro, il giro di vite sulle licenze degli importatori locali,
autorizzazioni senza le quali non è possibile operare.
Le due misure sono state introdotte dal Governo russo per frenare il
fenomeno delle sottofatturazioni che portava ad acquistare vini con un
valore dichiarato di pochi euro ma che, superata la dogana, vedevano i
propri listini gonfiati anche di dieci volte. Per questo è stato
introdotto il principio del "customs profile", ovvero un prezzo minimo
(differente per le diverse categorie) al di sotto del quale non è
possibile introdurre vino in Russia.
Ecco uno stralcio dell'interrogazione a risposta scritta dell'On. Mannino: “In sostanza, la dogana russa ha
introdotto il valore minimo (customs profile) per i vini importati: un
importo minimo che precedentemente non era previsto e che rappresenta
una sorta di valore imponibile su cui calcolare poi dazi, accise e
diritti doganali; quindi, se finora le imprese dichiaravano
semplicemente i costi di produzione su cui applicare una tassazione alla
dogana del 40 per cento, con la normativa oggi in vigore il valore
minimo per le etichette italiane sarà di 2,12 euro al litro, mentre per
le etichette francesi e spagnole il customs profile sarà di euro 1,22;
tale meccanismo genererà un aumento del prezzo finale pari al 30 per
cento per il prodotto italiano, contro un massimo del 12 per cento per i
vini francesi e spagnoli, con un danno evidente per i produttori
italiani. Il mercato russo in questi ultimi periodi era divenuto il
quinto mercato di esportazione per l'Italia”.
Fonte: Camera dei deputati - Seduta n. 497
Menfi [Agrigento - Sicilia]. Vista l'estrema facilità con la quale è possibile pubblicare contenuti attraverso un blog, ho deciso di disporre di questo potente mezzo di comunicazione per interfacciarmi con tutti i cittadini. Grazie a questa piattaforma web farò conoscere le mie idee, le mie prospettive politiche e mi confronterò, in maniera costruttiva, con tutti gli elettori del Comune di Menfi.
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mercoledì 23 novembre 2011
giovedì 16 dicembre 2010
L'intervista di Calogero Mannino
Lillo Mannino, diciotto anni dopo. Le sue vicende giudiziarie, concluse con una assoluzione, dopo il carcere, varie sentenze e centinaia di udienze, sono diventate una pagina di storia. Gianni Minoli ha intervistato l ’ex ministro democristiano, oggi deputato nazionale, a “La storia siamo noi”. Una conversazione intensa, che ha offerto una testimonianza di grande interesse sui rapporti fra politica e mafia in Sicilia.
“La mafia oggi è disseminata nel territorio, nella società civile, ci sono perciò più rischi di prima”, ha affermato Mannino, tra l’altro. In passato era localizzabile, si sapeva dove potesse agire e come, oggi la sua capacità d’inquinare è molto più grave, ha aggiunto. Poi ha spiegato che non si può parlare di una solo mafia, ma di mafie, perché ormai la cupola non sembra esistere più.
Durante la conversazione con Minoli, Mannino ha rievocato le tappe della sua vita politica e ha fatto una breve storia della Democrazia cristiana.
“Non è vero che la Dc era mafiosa, non lo è mai stata”, ha detto. “Ci sono stati alcuni uomini della Dc legati alla mafia, che è un’altra cosa. Questi legami furono spezzati, è questo che si tentò di fare, nel congresso della Dc dell’83, ed è a questo punto che la mafia reagisce. Ci fu un altro momento di rottura con quegli ambienti, e risale all’elezione di Piersanti Mattarella alla presidenza della Regione”.
Mannino ha rivendicato al gruppo dirigente della Dc, del quale facevano parte Rino Nicolosi e Giuseppe Campione, la volontà di fare pulizia nel partito. E la cosa non fece piacere a quella parte della Dc che era legata ai boss.
“La mafia oggi è disseminata nel territorio, nella società civile, ci sono perciò più rischi di prima”, ha affermato Mannino, tra l’altro. In passato era localizzabile, si sapeva dove potesse agire e come, oggi la sua capacità d’inquinare è molto più grave, ha aggiunto. Poi ha spiegato che non si può parlare di una solo mafia, ma di mafie, perché ormai la cupola non sembra esistere più.
Durante la conversazione con Minoli, Mannino ha rievocato le tappe della sua vita politica e ha fatto una breve storia della Democrazia cristiana.
“Non è vero che la Dc era mafiosa, non lo è mai stata”, ha detto. “Ci sono stati alcuni uomini della Dc legati alla mafia, che è un’altra cosa. Questi legami furono spezzati, è questo che si tentò di fare, nel congresso della Dc dell’83, ed è a questo punto che la mafia reagisce. Ci fu un altro momento di rottura con quegli ambienti, e risale all’elezione di Piersanti Mattarella alla presidenza della Regione”.
Mannino ha rivendicato al gruppo dirigente della Dc, del quale facevano parte Rino Nicolosi e Giuseppe Campione, la volontà di fare pulizia nel partito. E la cosa non fece piacere a quella parte della Dc che era legata ai boss.
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