La mafia si è astenuta dal voto nelle recenti elezioni regionali. La
prova sarebbe questa: su circa 7000 detenuti nelle carceri siciliane
soltanto una quarantina hanno chiesto di andare a votare.
Evidentemente
dall'esterno non è arrivato alcun ordine di scuderia per indirizzare il
voto verso i candidati all'Ars amici degli amici.
Molti si sono
chiesti perché anche la mafia è stata assenteista come la maggior parte
dei normali cittadini.
E ci sono state varie tesi: una è stata quella di
«bambole, non c'è una lira» per cui in una Regione carica di debiti
sperare in appalti lucrosi è inutile per un triplice ordine di motivi:
la scarsità degli appalti stessi, l'inavvicinabilità degli esponenti del
prossimo governo regionale e infine l'attenzione mirata degli
investigatori in caso di operazioni sospette. Ormai i soldi che ancora
girano sono tra Roma, il Piemonte e la Lombardia.
Qualche altro ha
motivato l'assenteismo con il fatto che i candidati hanno
evitato accuratamente di incontrare malavitosi piccoli o grandi perché
ormai le microspie o beccano te, oppure quello con cui tu parli, e prima
o poi ti arriva qualche avviso di garanzia.
Questo test siciliano è
importante anche per la legge elettorale nazionale di cui si sta
discutendo, perché, visto che in Sicilia non c'è stata nemmeno l'ombra
del voto di scambio, allora si può reintrodurre senza troppi timori la
libertà di scelta degli elettori di votare il candidato che vogliono.
Questo limita il potere delle segreterie dei partiti di scegliere chi
deve essere eletto, ma nel contempo restituirebbe al cittadino il suo
diritto di voto libero. Certo tenere tutti sotto controllo non
sarebbe facile, ma la tendenza è a favore di votazioni senza trucchi.
La Sicilia, oltre al forte astensionismo, all'elezione di Crocetta e al
successo dei grillini, ha dato al Paese anche un segnale di libertà per
il voto.
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