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lunedì 28 maggio 2012

Acqua pubblica, cento sindaci tornano all'Ars

Sindaci, assessori e consiglieri comunali in rappresentanza di circa 100 comuni siciliani saranno martedì mattina (29 maggio alle ore 10.00) di fronte l'Assemblea regionale siciliana per dire "si" alla pubblicizzazione delle reti idriche.

Insieme a loro anche i rappresentanti di alcuni comitati cittadini. Tutti chiedono l'immediata approvazione del disegno di legge all'Ars per la "ripubblicizzazione" delle reti - già approvato in commissione ambiente lo scorso 21 marzo - e chiedono al presidente della Regione di far rispettare l’esito del referendum popolare di un anno fa, che di fatto impedisce la privatizzazione dell'acqua, e la revoca delle diffide ai comuni.

Le annunciate dimissioni di Lombardo per il 28 Luglio rappresentano la “dead line” per l’approvazione di una legge voluta dai cittadini su cui, peraltro, incombono delle diffide ai comuni che non hanno consegnato le reti da parte delle società private che ancora gestiscono il servizio idrico integrato.

mercoledì 18 novembre 2009

Acqua, la Puglia dice no ai privati


Mentre in Parlamento si è votato un decreto legge sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali, fra i quali anche quelli idrici, la Regione presieduta da Vendola ha approvato una delibera che va in direzione opposta
L’acqua è un bene comune, un diritto umano universale non assoggettabile a meccanismi di mercato. Con questo principio la regione Puglia sta preparando la sua rivoluzione dell'acqua. La delibera recentemente approvata dalla giunta Vendola è una sfida alla privatizzazione del servizio idrico avviata dal governo nazionale.
Mentre il governo nazionale stabilisce che nelle aziende ex municipalizzate la proprietà pubblica dovrà scendere al 30% entro il 2015, la regione ha intenzione di togliere dal mercato la società Acquedotto Pugliese (AQP) e di cambiare il sistema delle tariffe basandolo anche sul reddito familiare. Entro dicembre la Regione Puglia dovrà presentare un disegno di legge ad hoc.

Che si tratti di una vera e propria sfida lo dimostra il fatto che la Puglia impugnerà dinanzi alla Corte Costituzionale il decreto legge 135, con cui il governo ha dato il via libera alla privatizzazione della gestione idrica e ha sancito la fine delle società per azioni a capitale pubblico. Entro novembre 2009 il testo dovrà essere trasformato in legge. Ma secondo la Puglia il servizio idrico deve rimanere di competenza esclusiva delle regioni. Non solo: essendo un servizio essenziale e un diritto inalienabile dell'uomo, l'acqua deve rimanere fuori dalle logiche di mercato e della concorrenza.

Un acquedotto, mille problemi. L'acquedotto pugliese, la cui costruzione iniziò nel 1906 e si protrasse anche durante la Grande Guerra, è uno dei più imponenti d'Italia con 20.000 chilometri di rete. Attinge da invasi fuori dalla Puglia e serve anche diversi comuni della Campania e della Basilicata. Dal 1999 la società che gestisce l'infrastruttura si è trasformata in società per azioni a capitale pubblico. Del 2002 la Puglia e la Basilicata detengono il 100% delle azioni.

Ma una grande opera ha bisogno di una costante manutenzione. Oggi l'acquedotto pugliese perde il 35% dell'acqua che trasporta. A questa quota vanno aggiunti i furti d'acqua. Non bisogna dimenticare, poi, gli evasori che non pagano la bolletta. Alla fine dei conti, AQP non riesce a fatturare il 47% dell'acqua che immette nelle condotte.

Ma c'è anche l'altro lato della medaglia: la Spa, che conti alla mano è un'azienda sana, sta realizzando un ambizioso piano di investimenti, che ammonteranno a 1,5 miliardi di euro entro il 2018. Gli interventi sulla rete stanno già dando i risultati sperati: “Negli ultimi quattro anni – dicono dall'Acquedotto Pugliese – le perdite sono diminuite dal 53% al 47% per un risparmio di 25 milioni di metri cubi d'acqua”.

Bollette meno care. O no? Se l'acquedotto dovesse tornare in mano pubblica chi dovrà sopportare il peso di questi investimenti? Secondo Fabiano Amati, assessore regionale per le Opere Pubbliche, non i cittadini. Anzi: “Dal 2010 al 2018 le tariffe scenderanno gradualmente. E introdurremo un sistema secondo il quale chi ha un reddito basso avrà un conto meno salato. Ferma restando, ovviamente, una quota fissa che sarà uguale per tutti”.

Dopo la Toscana, la Puglia è la regione con le tariffe dell'acqua più care d'Italia (consulta la tabella completa). Dovendo attingere acqua da altre regioni, AQP ha dei costi di gestione molto più alti rispetto ad altre aziende più “fortunate”, che operano in territori dove laghi e fiumi abbondano. Ma lo spettro del rincaro non è infondato, visto che la vecchia legge Galli impone che i costi del servizio debbano ricadere sul servizio stesso, quindi in bolletta.

Cosa cambierà. Secondo l'assessore Amati, trasformare l'azienda idrica in un soggetto di diritto pubblico implica un grande vantaggio, quello della trasparenza: “I cittadini avranno finalmente la garanzia che le loro esigenze non saranno più valutate secondo criteri di convenienza economica ma di utilità pubblica. Quando si parla di un bene primario come l'acqua, questo è un diritto fondamentale”.

Le voci critiche non mancano. Anche all'interno di Federutility, la federazione che rappresenta le aziende di servizi pubblici locali, c'è un certo scetticismo verso quella che viene vista come una scelta politica. “In concreto non cambierà nulla per i cittadini, non si capisce perché proprio ora che AQP sta realizzando importanti investimenti la Regione interviene per cambiare tutto”.

Giuseppe Altamore, giornalista esperto di risorse idriche, vede nell'iniziativa della regione Puglia “un po' di demagogia. Bisogna vedere se ci sono le risorse economiche per togliere dal mercato una società grande come AQP. Certo, bisogna anche dire che in Toscana, dove ci sono state le prime privatizzazioni dell'acqua, le tariffe sono aumentate a vista d'occhio”.

Che cosa ne pensi? Sei favorevole o contrario alla privatizzazione dei servizi pubblici locali? Di' la tua!

L'acqua "Deve restare un bene comune"


Con le reti idriche allo sfascio, l'Italia accelera la privatizzazione dell'acqua. Il Parlamento sta discutendo la legge che obbliga a mettere in gara i servizi e ridurre a quote minoritarie la mano pubblica nella gestione, ma nessuno sa dove trovare le risorse per ricuperare questo pazzesco "gap" infrastrutturale.

I lavori necessari ammontano a 62 miliardi di euro: una cifra enorme, come dieci ponti sullo Stretto. Questo mentre 8 milioni di cittadini non hanno accesso all'acqua potabile, 18 milioni bevono acqua non depurata e le perdite del sistema sono salite al 37%, con punte apocalittiche al Sud. Sono più di vent'anni che si investe al lumicino, non si costruiscono acquedotti e la manutenzione di quelli esistenti è quasi scomparsa dai bilanci. Un quadro da Terzo Mondo. Il rischio è di lasciare in eredità ai nostri figli un patrimonio di acqua inquinata da industrie, residui fognari, chimica, arsenico o metalli pesanti.

Di fronte a questo allarme concreto sembra sollevarsi nient'altro che il solito polverone. Uno scontro di "teologie": con una maggioranza che crede nell'efficacia salvifica della gara d'appalto e della quotazione in Borsa, e una minoranza che invoca il principio assoluto dell'acqua "bene comune". In mezzo a tutto questo, schiacciata fra le scorrerie dei partiti e gli appetiti finanziari dei privati, una miriade di Comuni virtuosi che finora hanno gestito i servizi a basso costo e in modo eccellente, e non intendono alienare "l'acqua del sindaco", intesa come ultima trincea del governo pubblico del territorio.

Nell'agosto 2007 Tremonti aveva già sparato un decreto per la privatizzazione, ma si era rivelato cos carente che non era stato possibile emanare i regolamenti. Oggi si tenta il bis, con una spinta in più verso i privati. Stavolta è d'accordo anche la Lega: la quota della mano pubblica dovrà scendere al 30%. Insomma, che i Comuni in bolletta vendano tutto quello che possono. Facciano cassa, subito. E non fa niente se qualcuno grida al furto e il Contratto mondiale per l'acqua - ultima trincea del pubblico servizio - minaccia fuoco e fiamme.

"In nessun'altra parte d'Europa - attacca il presidente Emilio Molinari - si vieta alla mano pubblica di conservare la maggioranza azionaria. Il rischio è che tutto finisca in mano delle grandi Spa e alle multinazionali. E se il servizio non funziona, invece che al tuo sindaco dovrai rivolgerti a un call center".
Contro il provvedimento s'è scatenata una guerra di resistenza. In Puglia il presidente della regione Niki Vendola s'è messo in collisione con gli alleati del Pd, ed ha non ha solo annunciato di voler far ricorso contro la privatizzazione, ma ha deciso di ripubblicizzare l'acquedotto pugliese, il più grande e malfamato d'Europa (si dice che abbia dato più da... mangiare che da bere ai pugliesi). Al grido di "l'acqua è una cosa pubblica" ora si tenta la storica marcia indietro, anche se non si ha la più pallida idea di chi (la Regione?) pagherà i debiti del carrozzone.

Intanto si moltiplicano le assemblee: Verona, Bari, Udine, Savona, Potenza, Rieti. Da Milano arrivano segnali di preoccupazione, a difesa di un'azienda comunale totalmente pubblica che finora ha mantenuto tariffe tra le più basse d'Italia. Il malumore cresce nei Comuni di montagna. In Carnia anche quelli della Lega sono ai ferri corti con la giunta regionale di centrodestra. Già hanno dovuto affidare i loro servizi a una Spa-carrozzone che fa acqua da tutte le parti e alza le tariffe senza fare investimenti; ora non vogliono che questo preluda al passaggio a un'azienda con sede a Milano, Roma o magari all'estero.

A Mezzana Montaldo (Biella) dove si gestiscono la loro rete in modo ineccepibile da oltre un secolo, non ci pensano nemmeno a mollare l'acqua ad altri. "La fine del federalismo e dei valori del territorio persino nelle regioni a statuto speciale" osserva Marco Job del C. m. a di Udine. "Facevamo tutto da soli - ghigna il carnico Franceschino Barazzutti - dalle mie parti il sindaco guidava il trattore, e se necessario aggiustava lui stesso la conduttura tra il paese e la sorgente. Oggi devi chiamare i tecnici a Udine, con tempi maggiori e costi più alti. E se devi segnalare un disservizio, devi andare a Tolmezzo o Udine, mentre prima era tutto sotto casa. E' tutto chiaro: hanno fatto una Spa pubblica solo per poi passare la mano ai privati".

Privatizzare è l'ultima speranza di adeguarci all'Europa, puntualizza il governo. Ma qui viene il bello. proprio l'enormità dei costi di questo adeguamento a falsare la gara. "Senza certezza sul futuro del servizio e con simili costi fissi nessuna banca al mondo finanzierà le piccole imprese, e cos finiranno per vincere le grandi aziende quotate, capaci di autofinanziarsi e di imporsi semplicemente con la forza del nome", spiega Antonio Massarutto dell'università di Udine. Altra cosa che pu falsare i giochi è la mancanza di garanzie sul rispetto delle regole. "Siamo in Italia" brontola Roberto Passino, presidente del Coviri, Comitato vigilanza risorse idriche: "Prima si lamentavano perché non funzionavamo, e ora che abbiamo rimesso le cose a posto, tutti si lamentano perché funzioniamo". Un problema di comportamento, insomma. Di cultura e responsabilità.

Pubblico o privato? "Non importa che i gatti siano bianchi o neri - scherza Passino citando Marx - l'importante è che mangino i topi". Quello che conta è il controllo. In Inghilterra l'azienda pubblica è stata privatizzata al cento per cento, ma la Spa che ha vinto la gara ora ha sul collo il fiato di un'authority ventiquattrore su ventiquattro. Le modifiche del contratto sono impossibili. Ogni cinque anni le tariffe vanno discusse daccapo. Massarutto: "L'anomalia italiana è che ci si illude che la gara basti a lavare più bianco. Non è vero niente. Serve uno strumento di controllo e garanzia che impedisca furbate o fughe speculative". Figurarsi se poi l'azienda firma un contratto che include non solo la gestione, ma anche gli investimenti immensi che il settore richiede.

Altra anomalia: abbiamo le tariffe più basse d'Europa. Questo perché - a differenza di Francia o Germania - finora nessuno ha osato scaricare sulle tariffe il costo di questo immenso arretrato di lavori. Viviamo in uno strano Paese, dove si protesta per le bollette dell'acqua, ma non si osa dir nulla su quelle del gas e dell'elettricità, che invece sono - udite - le più alte del Continente. Dire che gli acquedotti si debbano pagare con le tasse è quantomeno spericolato, osserva Giuseppe Altamore autore di grandi libri sulla questione idrica in Italia: "Non vedo cosa ci sia di giusto nel fatto che io debba pagare il servizio idrico anche per gli evasori fiscali". Nell'incertezza sul futuro, il ritardo aumenta, e sulle nostre spalle cresce la previsione di una batosta stimata per ora sui 115 euro pro-capite l'anno.