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mercoledì 22 febbraio 2012

Redditi ministri del governo Monti

Online tutti i redditi dei ministri del governo Monti.

Paola Severino, con i suoi oltre 7 milioni di euro di imponibile nel 2011, è la più ricca della squadra di governo di Mario Monti. Corrado Passera invece ha dichiarato 3,5 milioni di euro. A seguire Giampaolo Di Paola, Francesco Profumo, Annamaria Cancellieri, Filippo Patroni Griffi, Piero Gnudi, Andrea Riccardi, Giulio Terzi di Sant’Agata, Mario Catania, Pietro Giarda, Corrado Clini e Renato Balduzzi. 
Il premier Monti ha dichiarato, nel 2010, redditi per 1,5 mln di euro. 

domenica 11 dicembre 2011

Beauty Contest: si regalano frequenze tv dal valore di 16 miliardi

L'idea di regalare frequenze televisive non piace a nessuno. Tanto più se il valore potrebbe arrivare a 16 miliardi per i 40 canali dedicati alla Tv e a circa 2,4 miliardi per le sei frequenze assegnate con un "concorso di bellezza". E ancora di più se la gara è destinata solo gli operatori televisivi italiani verticalmente integrati e viola i principi di neutralità del servizio e della tecnologia. Si potrebbe invece concepire l'asta in modo che non danneggi nessuno, comprese le emittenti locali. Oltre a far entrare nelle casse dello Stato almeno un miliardo di euro.

L’idea di regalare frequenze televisive con un “beauty contest” non piace a nessuno. Tantomeno in questi giorni di duri sacrifici per tutti. L’asta che ha assegnato le frequenze banda 800MHz ha rivelato un valore di 50 milioni di euro a MHz e quindi potrebbe arrivare a 16 miliardi per i 40 canali dedicati alla Tv e a circa 2,4 miliardi per le sei frequenze assegnate con un “concorso di bellezza”. La cessione di questo patrimonio pubblico, a titolo gratuito e per un uso esclusivamente radio-televisivo, sembra davvero un grave errore.

I LIMITI DELLA GARA - Il “beauty contest” è destinato a una specifica tipologia di operatori: gli operatori televisivi italiani verticalmente integrati. I punteggi infatti favoriscono operatori con forte presenza sul mercato nazionale e in grado di svolgere, al massimo livello qualitativo, sia il ruolo di operatori di rete che quello di fornitori di contenuti. Operatori di rete e fornitori di contenuti “puri” sono stati costretti ad associarsi a priori; e infatti si sono tenuti lontani dalla gara. A peggiorare lo scenario sono poi intervenute le scelte “tecniche” del ministero che ha assegnato le frequenze di tutti i canali dal 61 al 69 alle emittenti locali in ogni Regione del Nord, per poi decidere, pochi giorni dopo, che le stesse frequenze appena assegnate dovevano essere “espropriate” a pagamento ai neo-assegnatari e messe ad asta per gli operatori mobili. Tutto questo, oltre ad aumentare le difficoltà di liberazione della banda dell’asta Lte, ha provocato un aumento dell’interferenza e diminuito la qualità di tutte le frequenze del “beauty contest”, tranne due: i canali 55 e 58. Sfortunatamente, il ministero ha deciso di assegnare i due canali al Lotto B, destinato a Mediaset, Rai e Telecom e precluso a Sky. Quest’ultimo operatore peraltro si è ritirato dal “concorso” a causa delle lungaggini burocratiche, eliminando di fatto dall’assegnazione l’unico vero entrante. Insomma, un “beauty contest” che regala un bene pubblico di altissimo valore, che viola i principi di neutralità del servizio e della tecnologia, che favorisce gli operatori italiani verticalmente integrati, che assegna le frequenze migliori agli “incumbent” e di fatto “cristallizza” il mercato. Soprattutto, una gara che non contribuisce a creare le condizioni per un uso razionale dello spettro e non apre il mercato come richiesto dall’Europa per chiudere la procedura di infrazione.
Tratto da: lavoce.info

Piazza Pulita 08/12/2011 - Vito Foderà spiega le regole del concorso di bellezza per l'assegnazione delle frequenze. Clicca qui per vedere il video

sabato 3 dicembre 2011

La manovra finanziaria di Monti

Rush finale per le misure anticrisi che il governo varerà, lunedì 5 dicembre, per correggere i conti e rilanciare la crescita. Il premier e ministro dell'Economia, Mario Monti, ha illustrato le linee-guida ai leader del Terzo Polo. Ora sta incontrando il segretario del Pdl Angelino Alfano, poi vedrà il leader del Pd Pier Luigi Bersani.

Domenica vero scoglio con le parti sociali, che sulla riforma delle pensioni annunciano barricate. In arrivo nella manovra anticrisi che il governo si appresta a varare l'aumento di 2, ma anche fino a 3, punti per le aliquote Irpef, al 41 e 43%. E si valuta una tassa che riguarderebbe non il possesso di una imbarcazione ma il suo stazionamento in un porto turistico. La manovra conterrà inoltre misure volte a fa ripartire la crescita e a contenere il debito pubblico, ma anche «riforme strutturali». Il presidente del Consiglio ha inoltre confermato l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013.

mercoledì 16 novembre 2011

Governo Monti, la lista dei ministri

Ecco la lista dei ministri letta dal presidente del Consiglio Mario Monti dopo aver sciolto la riserva al Quirinale:

ministero dell'Economia e delle finanze: Mario Monti
ministro della Difesa: Giampaolo Di Paola
ministro dell'Interno: Anna Maria Cancellieri
ministro della Giustizia: Paola Severino
ministro degli Esteri: Giulio Terzi di Sant'Agata
ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con delega alle Pari Opportunità: Elsa Fornero
ministero dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture e dei Trasporti: Corrado Passera
ministero delle Politiche agricole e forestali: Mario Catania
ministero della Sanità: Renato Balduzzi
ministero dell'Ambiente: Corrado Clini
ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo
ministero per i Beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi
ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio: Corrado Clini

Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: Antonio Catricalà
Ministri senza portagoglio:
Affari Europei: Enzo Moavero Milanesi
Turismo e sport: Piero Gnudi
Coesione territoriale: Fabrizio Barca
Rapporti Parlamento: Piero Giarda
Cooperazione internazionale e integrazione: Andrea Riccardi.

domenica 13 novembre 2011

Berlusconi si dimette. Nasce il governo Monti

Ieri, sabato 12 novembre 2011.

Berlusconi si dimette, il comunicato
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al Palazzo del Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, il quale essendosi concluso l'iter parlamentare di esame e di approvazione della legge di stabilità e del bilancio di previsione dello Stato ha rassegnato le dimissioni del Governo da lui presieduto. Il Presidente della Repubblica nel ringraziarlo per la collaborazione, si è riservato di decidere ed ha invitato il Governo dimissionario a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti. Le consultazioni del Capo dello Stato si svolgeranno nella giornata di domani, domenica 13 novembre.


Oggi, domenica 13 novembre 2011

Nasce il governo Monti
La domenica della politica è già iniziata. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha già iniziato infatti le consultazioni con il presidente del Senato, Renato Schifani, e della Camera, Gianfranco Fini, a seguito delle dimissioni rassegnate ieri da Silvio Berlusconi. Per Napolitano quindi è prevista una giornata ricca di incontri e colloqui con l'obiettivo di incaricare il nuovo governo entro lunedì 14 novembre.

Il Nuovo Governo
Si va verso un Governo di tecnici. Dopo due giorni di trattative,con un Pdl che chiedeva posti nella squadra, sembra che Mario Monti sia arrivato a un punto fermo: la lista che sarà sottoposta al capo dello stato sarà composta di professori ed esperti nei vari settori dell'amministrazione dello Stato. Resta però uno spazio ancora aperto per l'ingresso di alcune figure politiche ma di certo i margini sembrano assai ridotti.

I nomi dei possibili nuovi Ministri
  • Mario Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri. 
  • Guido Tabellini, rettore della Bocconi, all'Economia ma non è escluso che sia lo stesso Mario Monti premier a tenere per sè la delega. Ma il vero nome a sorpresa potrebbe essere quello di una donna Anna Maria Tarantola, videdirettore generale di Bankitalia, ha una particolare esperienza sul mondo bancario. Restano in pista anche i nomi di Lorenzo Bini Smaghi (che si è dimesso dalla Bce) e Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro.
  • Carlo Secchi, anche lui professore bocconiano, è invece candidato allo Sviluppo Economico.
  • Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica di Milano, è candidato all'Istruzione.
  • Carlo Dell'Aringa al Welfare.
  • Lanfranco Senn, anche lui della Bocconi, è candidato al ministero delle Infastrutture.
  • Enzo Moavero, ex capo di gabinetto di Monti quando era Commissario Ue a Bruxelles, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
  • La Giustizia?!? Questa è la vera poltrona che scotta. L'ultimo nome è quello di Cesare Mirabelli, ex presidente della Consulta e attuale componente del consiglio superiore della Banca d'Italia.
  • Si sussurra il nome di Umberto Veronesi alla Salute anche se viene dato in discesa.
  • Giuliano Amato o Giampiero Massolo agli Esteri
  • Agli Interni invece si parla di Beppe Pisanu o di Giuliano Amato qualora non ricopra ancora nessuna carica. 
Sarà credibile un esecutivo targato, quasi tutto, Bocconi? Vedremo. Vedremo se effettivamente i probabili candidati appena elencati saranno successivamente confermati. Per adesso sono e restano soltanto delle voci. Quello che si dà per certo, e che già assegna una stellina di merito per la sola intenzione, è che il nuovo premier sembra voler dimezzare i ministri e i sottosegretari. Una mossa da sottolineare visto che Berlusconi nell'ultimo esecutivo, per ricompensare i folgorati sulla via di Damasco, ha dato vita ad una sfilza di sottosegretariati inventati alla bisogna. Quello che ci auguriamo adesso, invece, e che si faccia in fretta, molto in fretta, un governo che ci tiri fuori dai guai.
 

Buon lavoro.

sabato 12 novembre 2011

Google vuole aiutare l’Italia ad abbattere il proprio digital divide

Google è pronta a dare il proprio contributo al Digital Advisory Group (DAG), un progetto promosso da trenta organizzazioni pubbliche e private che ha l’obiettivo di colmare il gap digitale dell’Italia.

L’iniziativa è stata concepita grazie alla consulenza di McKinsey & Company per realizzare una strategia contro il digital divide (def. divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione e chi ne è escluso. I motivi di esclusione comprendono diverse variabili: condizioni economiche, livello d'istruzione, qualità delle infrastrutture, differenze di età o di sesso, appartenenza a diversi gruppi etnici, provenienza geografica. Oltre a indicare il divario nell'accesso reale alle tecnologie, la definizione include anche disparità nell'acquisizione di risorse o capacità necessarie a partecipare alla società dell'informazione. Il divario può essere inteso sia rispetto a un singolo paese sia a livello globale).

È un progetto in dodici punti per aumentare l’incidenza del web sul Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’Italia, un Paese arretrato rispetto al resto d’Europa. Tra i promotori, purtroppo, è evidente la grave assenza dell’amministrazione pubblica italiana. L’iniziativa, infatti, è patrocinata dalla American Chamber of Commerce in Italy. Al solito, l’innovazione digitale in Italia è guidata da pochi investitori privati e richiede il supporto degli Stati Uniti. È una svolta positiva: doveva pensarci il Governo.

La proposta: 12 progetti sui cui lavorare nei prossimi 12 mesi per colmare il gap digitale dell'Italia.
  1. ridurre il digital divide usando le tecnologie già oggi disponibili come adsl e wifi;
  2. pianificare in modo chiaro l'implementazione di reti di prossima generazione;
  3. armonizzazione della normativa digitale a livello europeo;
  4. creare un advisory board strategico per le politiche digitali;
  5. incoraggiare l'attitudine al web dei consumatori attraverso iniziative di comunicazione;
  6. promuovere modalità innovative di consegna degli acquisti online;
  7. lanciare road show per le piccole e medie imprese teso a diffondere la coltura digitale sul territorio;
  8. favorire lo sviluppo delle attività di e-commerce delle piccole-medie imprese;
  9. migliorare la fruibilità visibilità ed usabilità dei serivizi di e-governement esistenti;
  10. favorire lo sviluppo di una formazione digitale di qualità per studenti manager e imprenditori;
  11. costituire una "Digital Experience Factory" sulla base di esperienze estere simili;
  12. incentivare le start-up digitali e l'imprenditoria tecnologica. 

Scarica il report
del DAG


Qual è il potenziale dell'economia digitale in Italia? Quali ostacoli ne frenano lo sviluppo? Quali iniziative possono favorire lo sviluppo digitale del paese? Il punto di vista del DAG.

giovedì 10 novembre 2011

In politica non esistono traditori

Ci risiamo coi traditori. Dopo quelli storici del 25 luglio, ecco i traditori dell'8 novembre. Cioè quei deputati, così definiti immediatamente da Berlusconi, che l'altro giorno, alla Camera, hanno disertato le file della maggioranza. L'epiteto di «traditore» adoperato dal premier è la spia linguistica appropriata dei tanti nodi che sono venuti al pettine martedì a Montecitorio. In un certo senso, anzi, racchiude il senso complessivo di quanto quel pomeriggio è realmente accaduto: e cioè la vittoria della politica su tutto ciò che nella politica può anche esserci ma che non ne rappresenta l'essenza vera.

Attenzione: non sto dicendo la vittoria del bene sul male. Ma semplicemente la vittoria della politica. E alla fine, proprio il non capire che cosa questa sia, in che cosa la politica consista, ha portato Berlusconi alla sconfitta.

Il termine "traditore" rispecchia  alla perfezione il solo, vero tipo di legame che in tutti questi anni il presidente del Consiglio è stato capace di immaginare tra se stesso e chi gli stava accanto nel partito o al governo. Un rapporto di fedeltà personale, una sorta d'investitura da signore a vassallo, cementata anche in questo caso dalla concessione di feudi e benefici vari (anche assai poco appropriati, come sanno tutti: case, contratti di collaborazione fasulli, elargizioni). La stessa designazione/nomina alla carica di parlamentare, addirittura ministro, è stata spesso intesa da Berlusconi come una ricompensaa per meriti del tutto estranei alla politica. Non già dunque la condivisione di un progetto comune alimentato da valori comuni, l'elaborazione collettiva delle cose da fare e del come farle (sia pure, evidentemente, con una diversa incidenza decisionale e con un diverso grado di responsabilità). No. Al posto di tutto questo, invece - al posto della politica - la persona, la sua persona di capo e benefattore: e dunque la fedeltà, la devozione e, perchè no?, magari pure la simpatia e l'affetto. Ma comunque e innanzitutto il comando e l'obbedienza. E dunque la categoria del "tradimento". Chi non lo segue più non può che essere un "traditore".

Il voto di martedì ha rappresentato la rivincita della politica rispetto a tutto questo. Lontanissima da me (a differenza della sinistra, la quale ama presentare sempre come un eroe della libertà chi abbandonda la destra e viceversa come un vero gaglioffo chi verso la destra emigra) l'idea di pensare che colore che non hanno votato con la maggioranza lo abbiano fatto per chissà quali ragioni ideali. Qualcuno certo ce ne sarà, ma probabilmente pochi. Il punto è che però tutti lo hanno fatto per ragioni che sono eminentemente politiche. A cominciare da quella di assicurare a se stessi un avvenire politico: avvenire che evidentemente essi hanno avuto motivo di credere non più garantito dal Pdl e dalle probabili fortune elettorali sue, del governo e dello stesso Berlusconi. Insomma, perchè hanno giudicato quest'ultimo arrivato politicamente al capolinea.

La politica, dunque, alla fine fine si è mostrata più forte di qualunque legame personale fondato apparentemente su qualcosa di simile all'amicizia ma in realtà, assai più spesso, sui favori e sul denaro travestiti da "amicizia". Per Berlusconi è una lezione inaspettata e amara, ma proprio non aver capito questo dato capitale è all'origine della stupefacente catena di errori e di incapacità che lo stanno portanto oggi a una fine ingloriosa.

Ernesto Galli Della Loggia - Corriere.it

martedì 8 novembre 2011

Silvio Berlusconi si dimette dopo la legge di stabilità

La nota del Quirinale

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questa sera in Quirinale il Presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, accompagnato dal Sottosegretario dott. Gianni Letta. All'incontro ha partecipato il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Consigliere Donato Marra.

Il Presidente del Consiglio ha manifestato al Capo dello Stato la sua consapevolezza delle implicazioni del risultato del voto odierno alla Camera ; egli ha nello stesso tempo espresso viva preoccupazione per l'urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei con l'approvazione della Legge di Stabilità, opportunamente emendata alla luce del più recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione europea.

Una volta compiuto tale adempimento, il Presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato al Capo dello Stato, che procederà alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione.


Fonte: quirinale.it

martedì 4 ottobre 2011

L’opposizione che salva la maggioranza

L’associazione openpolis pubblica “L’opposizione che salva la maggioranza” - Rapporto sul voto in Parlamento nella XVI legislatura.
Prosegue il lavoro per conoscere l’attività dei nostri rappresentanti e svelare i meccanismi della politica italiana.
Maggioranza salvata. Il rapporto, attraverso l’analisi di tutte le votazioni elettroniche d’aula, si concentra sulle votazioni con maggioranza salvata, ovvero quelle in cui la maggioranza di Governo è riuscita a far approvare le sue proposte grazie ai voti e alle assenze dei parlamentari di opposizione. In questi casi quindi, se tutti i parlamentari di opposizione fossero stati presenti e avessero votato contro la maggioranza, quest’ultima sarebbe stata battuta nella votazione.
Più di un voto su tre. Il non-voto dell’opposizione è talmente ricorrente da assumere un carattere sistemico rispetto l’attività parlamentare. Infatti, finora in questa legislatura su un totale di 14.494 votazioni le situazioni di maggioranza salvata sono state 5.098, ovvero il 35%.
Opposizione part-time. Tutti i deputati e i senatori dell’opposizione hanno contribuito almeno una volta a “salvare la maggioranza”, non partecipando al voto. Se li mettiamo in classifica, risaltano nelle prime posizioni i nomi dei segretari di partito: alla Camera, Bersani è primo (2.306 salvataggi), Di Pietro è terzo (2.019 salvataggi) e Cesa è quattordicesimo (1.437 salvataggi) mentre al Senato, Bonino è prima (1.331 salvataggi).
Le leggi. Molti provvedimenti sono stati approvati anche grazie alle assenze dell’opposizione nelle votazioni finali. Quei voti cioè che rappresentano un passaggio decisivo nell’iter di approvazione di una legge perché consentono al provvedimento di passare all’altro ramo del Parlamento o di diventare legge. Fra i più significativi: Salvataggio Alitalia, Contrasto immigrazione clandestina, Rifiuti in Campania, Riforma Brunetta della Pubblica amministrazione, Terremoto in Abruzzo e Scudo fiscale.
Aggiornamenti. I dati analizzati sono tratti dai siti di Camera e Senato e, come da prassi per openpolis, sono disponibili online aggiornati quotidianamente, nel sito www.openparlamento.it, dove possono essere consultati nelle nuove pagine, “Maggioranza salvata” e “Maggioranza battuta”, all’interno della sezione dedicata alle “Votazioni”. Per conoscere il comportamento di voto di ogni parlamentare, si può andare nelle pagine loro dedicate nello stesso openparlamento.it, e, nella sezione “i suoi voti”, si possono trovare tutti i dettagli.


Tabelle esemplificative
Le votazioni si riferiscono a tutte le tipologie di atti, sia quelli legislativi (Disegni di legge) che non legislativi (Ordini del Giorno, Mozioni, altro), dall'inizio della XVI legislatura (aprile 2008) sino al 20 settembre 2011.





































Deputati che salvano di più o meno la maggioranza
Senatori che salvano di più o meno la maggioranza



giovedì 23 giugno 2011

Manovra fiscale da 43 mld, tagli ai comuni

Dovrebbe essere di circa 43 miliardi l'entità della manovra che dovrebbe approdare in Consiglio dei Ministri tra il 28 e il 29 giugno per poi essere approvata in Parlamento entro il 5 agosto. Lo riferiscono fonti parlamentari secondo cui contestualmente al decreto legge sarà presentata anche una delega light sulla riforma fiscale.

Si lavora a un intervento che dovrebbe essere di circa 3 miliardi nel 2011, 5 mld per l'anno successivo mentre 35 miliardi saranno spalmati nel biennio 2013-2014. L’approvazione della legge è prevista entro il 5 agosto dal Parlamento. Cifre e contenuti della manovra cominciano a delinearsi, a partire dai tagli ai comuni che dovrebbero sfiorare i 3 miliardi, quelli ai ministeri dovrebbero aggirarsi sui 5-6 miliardi, mentre sembra confermato il blocco del turn over e il prolungamento al 2014 del congelamento degli aumenti contrattuali per gli statali che la manovra dello scorso anno limitava al 2013.
Anche la spesa sanitaria farà senz'altro la sua parte. Soprattutto quando i costi standard cominceranno ad essere applicati. Dalla lotta agli sprechi e il riordino dei conti di Asl e ospedali si punta a recuperare fra i 4 e i 5 miliardi. Gli interventi in cantiere vanno dalla stretta sull'acquisto di beni e servizi ai farmaci, dal personale ai ricoveri. Corposo anche il pacchetto pensioni su cui sta lavorando il Governo, ma che potrebbe non trovare spazio in manovra ed essere rimandato alla legge di stabilità. Tra le ipotesi quella di anticipare al 2013 l'adeguamento dei requisiti anagrafici di pensionamento di uomini e donne all`aspettativa di vita media.
Insieme alla manovra è atteso il varo di un d.d.l. collegato con la delega sulla riforma fiscale. Conterrà soltanto i principi del riassetto che dovrà entrare a regime entro il 2013.

L'Esecutivo punta a incassare dal disboscamento della giungla delle 476 agevolazioni fiscali fino a 16 miliardi da utilizzare per finanziare il taglio dell'Irpef. Una piccola parte delle risorse potrebbero essere impiegate anche a copertura degli interventi della manovra nel biennio 2013-2014. Un'altra fonte di copertura per finanziare la riduzione da cinque a tre aliquote sarebbe l'aumento dell'Iva, ma l'operazione è ancora in bilico per via delle forti resistenze di alcune categorie.

Restando in tema di manovra e finanza locale, il consiglio direttivo di Anci Lombardia riunitosi a Milano ha votato ieri un ordine del giorno sull’attuale situazione finanziaria dei comuni e sull’attuazione del federalismo. “Registriamo con favore le aperture da parte del Governo sul Patto di stabilità, a proposito del quale da anni rivendichiamo il diritto dei sindaci di utilizzare i fondi che hanno in cassa per gli investimenti sul territorio. Aspettiamo ora che alle aperture seguano i fatti”, ha detto il presidente Attilio Fontana Il quale ha ricordato la situazione critica della finanza locale e del comparto dei comuni in seguito alla manovra 2011-2013, che pesa sui comuni molto più che sugli altri comparti della pubblica amministrazione. Conseguenza di ciò, in Lombardia, è stata una drastica diminuzione (meno 20% secondo i dati Istat) degli investimenti sul territorio, investimenti che avrebbero anche avuto un positivo effetto anticiclico in un periodo di crisi. “Occorre un nuovo Patto di stabilità che metta al centro lo sviluppo economico e la coesione sociale – ha sostenuto Fontana –. Chiediamo che i comuni virtuosi possano impiegare i loro avanzi di amministrazione per investire, chiediamo che si escludano dal Patto le spese per l’edilizia scolastica e per le emergenze ambientali, chiediamo che l’eventuale surplus di risparmio raggiunto dai comuni possa restare nel comparto. Chiediamo che la regione ripercorra la strada del patto di stabilità regionale, facendosi carico di parte degli obiettivi per consentire ai comuni di poter spendere in investimenti”.

Fonte: http://www.diritto.it

martedì 14 dicembre 2010

Il governo ce la fa per 3 voti: 314 a 311, due astenuti.

Sono stati solo tre i voti con i quali è stato possibile alla maggioranza bocciare le mozioni di sfiducia nei confronti del governo. E determinanti possono essere considerati i voti di Massimo Calearo, Bruno Cesario e Domenico Scilipoti, i tre deputati del "Movimento di responsabilità nazionale".
Un suo peso, tuttavia, lo hanno avuto anche il non voto di Silvano Moffa (Fli), che pure era presente in Aula ma non ha risposto a nessuna delle due chiame, e quello di Antonio Gaglione, ex Pd ed oggi 'Noi Sud' che a Montecitorio non si è visto.
Ovviamente determinanti anche i voti di Catia Polidori e di Maria Grazia Siliquini, entrambe di Fli, che alla fine hanno deciso di votare contro le mozioni di sfiducia.

giovedì 6 maggio 2010

Sallusti: Le figuracce di D'Alema, una casa a 633mila lire



L'ordine dei giornalisti dovrebbe prendere provvedimenti contro Massimo D'Alema. A chiederlo è Alessandro Sallusti, il vicedirettore de Il Giornale, che martedì è stato protagonista a Ballarò di un vivace scambio polemico con il presidente del Copasir, Massimo D'Alema «Il problema non sono io - dice Sallusti - ma il giornalista D'Alema che ha detto delle cose per cui l'ordine dei giornalisti dovrebbe intervenire d'ufficio». Il vicedirettore de Il Giornale, ospite di Rai Due a «Il fatto del giorno», dice di «aspettarsi da D'Alema delle scuse sul piano personale» ma, aggiunge, che sotto altri profili, come quello della tutela legale, non si aspetta «nulla e non credo - dice - che farò nulla, perché io sono contrario alle querele e alle vie giudiziarie. Sul piano deontologico - ribadisce - vorrei però che l'ordine intervenisse».

Da il giornale.it
Sallusti si riferisce alla memorabile inchiesta giornalistica denominata «Affittopoli» (lodata da MicroMega fino al Washington Post), uno dei protagonisti di quello scandalo, Massimo D’Alema, dimostra di soffrire ancora per la campagna di stampa che lo costrinse ad abbandonare il suo immobile da 633mila lire al mese, di canone, a Trastevere.
Mai in 40 anni di carriera politica D’Alema aveva perso il controllo. Mai aveva urlato in quel modo. Mai s’era permesso di insultare pubblicamente un giornalista, in questo caso il nostro condirettore Alessandro Sallusti, che a Ballarò gli ha ricordato come proprio lui dovesse essere l’ultimo a fare la morale sulle case degli altri. Già, perché la storia della casa di D’Alema in via Musolino a Trastevere tanto chiara non è. È pacifico, perché mai sono arrivate smentite e mai sono state annunciate querele, che D’Alema ottenne quella casa usufruendo di una corsia preferenziale. Corsia che gli permise di scavalcare in graduatoria chi era prima di lui e chi ne aveva più diritto. L’esponente dell’allora Pds riuscì nell’impresa di aggiudicarsi l’ambìto appartamento dell’Inpdap grazie alla presunta intercessione di potenti amici finiti nei guai per la mega inchiesta romana sui Palazzi d’oro. Questo almeno è quello che hanno rivelato all’epoca i protagonisti dell’affaire D’Alema: sindacalisti, dirigenti, coinquilini.
La storia che ancora oggi, a distanza di 15 anni, manda fuori dai gangheri l’ex premier ha inizio nel 1990, anno in cui D’Alema presenta la domanda per ottenere l’appartamento. Nel febbraio del ’91, così come raccontò al Giornale il 3 settembre del 1995 Piergiorgio Sarale, ex segretario confederale della Cgil torinese e membro del Cda degli Istituti di previdenza della direzione generale del Tesoro, durante una normale riunione dei componenti il Cda, tra le delibere da approvare ce n’era una nascosta fra le “varie”, quelle che di solito vengono approvate senza prestarci tanta attenzione. Era la famosa delibera riguardante l’appartamento di via Musolino con la quale si proponeva alla vecchia affittuaria di spostarsi in un nuovo appartamento e di saldare comodamente il debito in comode rate e a tasso zero. E così accadde. Sarale non si rese conto di nulla fino al giorno successivo, quando incontrò un sindacalista di Essere Sindacato, l’ala dura della Cgil che faceva capo a Fausto Bertinotti, che gli disse: «Ti porto i complimenti dei lavoratori e degli sfrattati. Bel socialista che sei... bel venduto». Alla replica piccata di Sarale, il militante duro e puro aggiunse: «Avete approvato quella delibera scandalosa per regalare la casa al compagno D’Alema e adesso caschi dalla nuvole?».
Non si trattava di un appartamento qualunque. La lista degli aspiranti affittuari era lunghissima. Una bella casa, con un canone d’affitto di 633mila lire al mese a due passi dal centro di Roma, non è occasione di tutti i giorni. D’Alema non se la fece sfuggire. Sarale non mosse più un dito e il perché lo spiegò lui stesso: «Ero impaurito. L’invito che ricevetti dai superiori fu quello di starmene zitto e buono (...). Pensare a D’Alema che soffia la casa a un lavoratore bisognoso di un tetto, mi dica lei, che ideale di sinistra è?».
Ma per volontà di chi quella “magica” delibera finì quel giorno fra le “varie” da approvare? Per capirlo basta rileggere le parole che l’ex direttore generale degli istituti di previdenza del Tesoro, Giovanni Grande, coinvolto nell’inchiesta romana sui Palazzi d’oro, fece ai pm nel 1992. Grande spiegò che a raccomandare l’inquilino più famoso d’Italia fu Mario Giovannini, ex Pci, stabile punto di riferimento del partito al Tesoro fin dal 1968 e anche lui coinvolto nell’inchiesta. «Un giorno - disse a verbale Grande - Giovannini mi ha portato Massimo D’Alema (...) per chiedere un appartamento, cosa che io gli ho fatto (...)». E ancora: «Giovannini è nel cda degli istituti dal 1969 (...). Chi l’ha voluto? Chi lo ha imposto? Chi lo ha tenuto per 30 anni? (...) Ho avuto la certezza che Giovannini operasse per conto del Pci-Pds (...). Le contribuzioni, tangenti, chiamatele come vi pare, che Giovannini ricavava dagli imprenditori, finivano in parte a Botteghe Oscure». Lo stesso Giovannini, sentito dai magistrati nel 1993, non nascose la circostanza: «Grande (...) avrà avuto il piacere per altre ragioni di conoscere l’onorevole D’Alema al quale è stato dato un appartamento, ma solo in seguito a un mio intervento».
Finita l’inchiesta del Giornale, mentre tutti gli altri vip, compreso Walter Veltroni, restano nei loro appartamenti previdenziali, D’Alema si presenta al Maurizio Costanzo Show e annuncia che lascerà l’appartamento. Se pochi giorni prima aveva affermato di non aver «goduto di un trattamento speciale o privilegiato», in tv cambia musica definendo «un’ingiustizia che alcuni possono pagare l’equo canone mentre altri, la maggioranza, devono accettare condizioni meno favorevoli».
Questa è la storia che fa infuriare D’Alema, e che tanti si erano dimenticati o non conoscevano perché tanto tempo è passato e perché anche su internet i dettagli erano praticamente irrintracciabili. Se adesso la storia della casa di D’Alema è accessibile a tutti, bisogna ringraziare soltanto lui. Ma non ditelo in giro sennò s’incazza.