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martedì 27 marzo 2012

Debito Pubblico Italiano: 34 milioni al giorno dal 1861

Negli ultimi dieci anni il debito pubblico italiano è cresciuto del 45,96% e non accenna a segnare il passo. E’ questo il risultato dello studio "Italia 2011: un anno di sofferenza", condotto dagli economisti di Mazziero Research, che registra dal 2000 un incremento di 600 miliardi, in base ad una tendenza consolidata nel tempo, ma accentuata dai governi della Seconda Repubblica.

E’ come se ogni giorno dalla nascita di Gesù Cristo fossero stati accumulati 2 milioni e 600 mila euro di debito; oppure 34 milioni e 500 mila euro di debito per ogni giorno a partire dalla nascita dello Stato Italiano, il 17 marzo 1861, spiega il documento per provare a esemplificare le dinamiche che hanno portato a un debito pubblico di 1.897,9 miliardi di euro, certificato nel dicembre 2011 dalla Banca d’Italia. Da allora la situazione non è certo migliorata, nonostante le ultime tre manovre correttive del 2011 (due del governo Berlusconi e una del governo Monti). Al momento, infatti il dato appare moderatamente più elevato, con una proiezione attuale a oltre 1.910 miliardi di euro. E questo significa, secondo un calcolo pro-capite che, ogni cittadino italiano (compresi i quasi cinque milioni di stranieri) ha sulle spalle un fardello di 31.190 euro. Cifra che potrebbe essere contenuta da un incremento del tasso di natalità, che però sembra ridursi sempre più. Il risultato dell’analisi è ancora più impietoso. Questi numeri mostrano una cruda realtà, non esiste alcuna possibilità di restituire in un tempo congruo (un quarto di secolo?) un simile ammontare di debito. Anche perché il fenomeno è in costante crescita.

Il dato preoccupante è la progressione di questo debito e di come esso appaia cronico indipendentemente dalla compagine politica incaricata di governare, spiegano gli economisti, segnalando però che il 43,5% del debito si è formato nella Prima Repubblica, sino all’insediamento del primo governo Amato del 1992; il restante 56,5% è frutto della Seconda Repubblica.
Lo studio trova riscontro negli ultimi dati diffusi dall’Istat che, oltre a registrare un calo ulteriore della crescita del Pil (appena lo 0,4% sullo 0,6% atteso) ha fotografato un incremento del debito pubblico, arrivato a oltre il 120%, il massimo da 1996. Ma i dati poco rassicuranti elaborati da Mazziero Research chiamano in causa anche lo squilibrio fra entrate e uscite. Nel 2011, ad esempio, il disavanzo si è affacciato per ben otto mesi su 12, mentre per quattro mesi le spese hanno superato gli introiti di oltre 18 miliardi: quasi una finanziaria.

Clicca qui per leggere lo studio “Italia 2011: un anno di sofferenza”

mercoledì 19 ottobre 2011

La generazione che paga per tutti

L'enorme debito pubblico che l'Italia ha accumulato tra il 1965 e il 1995 non è stato utilizzato a fini produttivi: i soldi che abbiamo preso in prestito sono andati in impiego pubblico e pensioni. Ne hanno beneficiato soprattutto i nati nel decennio 1940-1950. A pagare il conto saranno i loro figli. Con maggiori tasse, ma anche con minori servizi. I tagli alla spesa previsti dalle recenti manovre per istruzione, sanità e trasporti colpiscono infatti di più questa generazione. Anche perché in Parlamento i padri continuano a essere sovra-rappresentati.
Il debito pubblico italiano è esploso tra la metà degli anni Sessanta, quando si attestava intorno al 25 per cento del Pil, e la metà degli anni Novanta, quando raggiunse il 120 per cento del Pil. Un incremento di quasi cinque volte. 

PADRI, NONNI E FIGLI
Indebitarsi non è necessariamente un male. Le imprese private lo fanno tutti i giorni per realizzare investimenti che le renderanno più efficienti e produttive in futuro,
Data la bassa crescita economica dal nostro paese negli ultimi quindici anni, è difficile pensare che l'enorme debito pubblico accumulato tra il 1965 e il 1995 sia stato utilizzato a fini produttivi.

Grafico 1: Debito pubblico e crescita economica.
 
Fonte: Penn World Tables (dati sul Pil) e Banca d’Italia (dati sul debito pubblico).

Che cosa abbiamo fatto, allora, con tutti i soldi che abbiamo preso in prestito? Principalmente, impiego pubblico e pensioni. C'è una generazione, quella che ha trascorso la maggior parte della propria vita lavorativa nel periodo di euforica espansione del debito, che ha beneficiato di quel denaro trasferendone i costi alla generazione successiva, ai loro figli.
Potremmo approssimativamente identificare questa generazione con i nati tra il 1940 e il 1950, Applicando la convenzione che definisce in venticinque anni l'intervallo di tempo che separa una generazione dalla successiva, i figli di quella generazione nascono tra il 1965 e il 1975 mentre i loro padri - “i nonni” - sono nati tra il 1915 e il 1920.
 

Utilizzando le indagini sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d'Italia possiamo confrontare l'incidenza dell'impiego pubblico tra nonni e padri nella fascia di età tra i 50 e i 60 anni. (2) In tale fascia di età, gli occupati nel settore pubblico erano il 27 per cento tra i nonni e il 40 per cento tra i padri. Utilizzando gli stessi dati, riusciamo a vedere padri e figli nella stessa fascia di età solo tra i 30 e i 40 anni (3) e, di nuovo, l'occupazione pubblica è più elevata tra i primi (39 per cento) che tra i secondi (35 per cento) (vedi grafico 2, figura di sinistra).
Allo stesso modo, possiamo confrontare il tasso di occupazione tra la generazione dei nonni e dei padri nella fascia di età 50-60 (vedi grafico 2, figura di destra) e scopriamo che solo il 36 per cento dei padri in quel gruppo di età era occupato contro il 56 per cento dei nonni. In altre parole, le baby pensioni sono un fenomeno che riguarda soprattutto i padri e non tanto i nonni. I figli non hanno ancora raggiunto la fascia di età 50-60, ma è ben chiaro che a loro non sarà certamente concesso di ottenere la pensione prima dei 65 anni. Anzi, i figli avranno pensioni molto più misere e le otterranno più tardi.

Grafico 2: Dipendenti pubblici e tassi di occupazione tra generazioni.
 
Fonte: Archivio storico dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, 1977-2008 – Banca d'Italia

In altre parole, i figli non hanno beneficiato, se non indirettamente attraverso trasferimenti intra-familiari, del debito pubblico accumulato nel corso della vita lavorativa dei padri. Ciononostante, saranno principalmente i figli a pagare il debito. Gli eventi degli ultimi mesi hanno messo in chiaro che non ci sarà concesso di continuare a indebitarci alle stesse condizioni del passato e, di conseguenza, non sarà concesso ai figli di trasferire costi collettivi ai loro figli (i nipoti).

CHI PAGA IL DEBITO. E COME
E come pagheranno i figli per il debito dei padri? Principalmente pagando le tasse nei prossimi anni, quando i padri non le pagheranno più, per ovvi motivi demografici. Ma non solo. Infatti, molti degli interventi di contenimento della spesa e di incremento delle entrate previsti dalla recente manovra e dalle molte che l’hanno preceduta ricadranno principalmente sulla generazione dei figli.

venerdì 16 settembre 2011

Il debito pubblico italiano 2011

Era 1.880 miliardi a gennaio, è salito a 1.890 miliardi ad aprile, è arrivato a 1.911 miliardi a luglio. ll 2011 è l'annus horribilis del debito pubblico italiano, sempre meno sostenibile per un Paese che ha rinunciato a crescere.


Il debito pubblico, che si manifesta come le obbligazioni emesse dal Tesoro, si forma perché le spese dello Stato sono maggiori delle sue entrate – il deficit pubblico. La differenza, se non è finanziata con l’emissione di moneta, è coperta con l’emissione di obbligazioni.
Si deve perciò andare alla ricerca della fonte: come si è formato il deficit. Più o meno tutti i Paesi sviluppati hanno visto crescere smisuratamente la spesa pubblica a partire dagli anni Sessanta. Quelli che hanno registrato una crescita delle imposte non troppo distante dalla crescita della spesa, hanno oggi dei debiti contenuti. Altri, invece, hanno speso velocemente, con le imposte che crescevano lentamente. Da qui i grossi deficit, che cumulati, hanno prodotto un gran debito.

La spesa pubblica si divide in spesa pubblica “per lo Stato minimo”, e in quella “per lo Stato sociale”.
  • La prima finanzia la polizia, i magistrati, i soldati. Ossia l’ordine, la giustizia, la difesa. 
  • La seconda finanzia i medici, gli infermieri, le medicine, gli insegnanti, ecc. Ossia l’istruzione e la salute. 
 Le pensioni sono ambigue, perché sono pagate – attraverso un apposito organismo – a chi è in pensione da chi lavora, quindi sono un trasferimento, non proprio una spesa.
Premesso ciò, la spesa per lo stato minimo è rimasta all’incirca la stessa nel secondo dopoguerra, mentre è esplosa quella per lo stato sociale. Ed è qui il punto. Quest’esplosione è avvenuta in tutti i Paesi europei. Negli Stati Uniti un po’ meno, ma non troppo meno, se si fanno dei conti sofisticati. Dunque non è un fenomeno solo italiano. O meglio, l’Italia spende più di alcuni altri Paesi, ma non “troppo di più”. Il punto è che ha incassato di meno per troppo tempo. (I conti comparati sulla spesa pubblica per lo stato minimo e per quello sociale vanno fatti escludendo la spesa per interessi sul debito, che è il frutto del cumularsi dei deficit nel corso del tempo e non della spesa corrente).
Abbiamo così a che fare con un fenomeno storico. Se abbiamo a che fare con un fenomeno storico, allora la crescita del debito non è attribuibile – se non in minima parte – a un bravo o cattivo presidente del consiglio dei ministri. Il protagonista è il “Processo” e non l’“Eroe”.

In conclusione, l’Italia ha speso più di quanto incassasse per troppo tempo, e si trova oggi ad avere un gran debito pubblico. Fino a quando ha speso più di quanto incassasse? Fino a prima dell’ultimo governo Andreotti. Il conto è fatto guardando la spesa pubblica meno le entrate prima del pagamento degli interessi (il saldo primario). Intorno al 1990 il bilancio dello Stato va in pareggio prima del pagamento degli interessi. In altre parole, non genera un nuovo deficit prima di pagare gli interessi sul cumulato dei deficit prodotti nel corso della storia (il debito). Da allora il saldo primario è stato o in avanzo, o in leggero disavanzo. Il deficit è stato il figlio del pagamento degli interessi sul debito cumulato. I deficit solo finanziari hanno però prodotto altro debito. La crescita economica (la variazione del PIL) non è mai stata troppo robusta, e perciò il rapporto debito su Pil o è rimasto stabile, o è appena sceso, o è cresciuto. Ultimamente il rapporto è cresciuto molto, perché il PIL (il denominatore) è caduto molto nel biennio 2008/2009 e non si è ancora ripreso.


Fonte: linkiesta.it