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lunedì 22 ottobre 2012

Ecco le Province che rischiano di scomparire

Le Province si difendono con una guerra di cavilli. Entro domani le proposte di riordino
Riordino con deroga per le province. La voglia di cancellare le amministrazioni che non rientrano nei parametri fissati dal Governo (2.500 chilometri quadrati e almeno 300mila abitanti) è poca e quasi tutte le regioni sono a caccia di scorciatoie. I giochi sono praticamente fatti.
Entro domani le quindici amministrazioni regionali a statuto ordinario devono inviare a Palazzo Chigi le proposte di riorganizzazione del loro territorio. Dopodiché la palla passerà nelle mani dell'Esecutivo, che deve disegnare la nuova geografia.
Le Province siciliane che rischiano di essere eliminate sono:
Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Trapani

venerdì 29 giugno 2012

Agrigento non perderà la Provincia

Ad Agrigento alcuni avranno tirato un sospiro di sollievo. Per il momento sono solo indiscrezioni, ma il nuovo piano del Governo Monti per tagliare le Province pare salvi la Provincia regionale di Agrigento. In Italia dalle attuali 107, si passerebbe a 54 (da aggiungere eventuali accorpamenti tra gli enti soppressi).

Almeno questo sarebbe il decreto legge che ha in mente il ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi. In Sicilia resisterebbero ai tagli solo Palermo, Catania, Messina e Agrigento: fuori invece Enna, Caltanissetta, Ragusa, Siracusa e Trapani. Ma perché?

Per "sopravvivere" le Province devono possedere almeno due di questi tre requisiti:
  • superficie di almeno 3.000 chilometri quadrati; 
  • popolazione superiore a 350 mila abitanti; 
  • oltre 50 Comuni presenti nel territorio. 
In provincia di Agrigento i Comuni sono solo 43: quest'ultimo requisito pertanto non è soddisfatto. Per il resto, però, tutto fila liscio. Gli abitanti superano le 453 mila unità, mentre la superficie ufficialmente si attesta sui 3.042 chilometri quadrati. Sul filo del rasoio, ma con questi criteri la Provincia di Agrigento rimane in piedi. Ci riesce per pochissimi chilometri quadrati: per fare un esempio pratico, senza i 42,42 Km2 di superficie di San Biagio Platani l'obiettivo non sarebbe stato raggiunto.
Con buona probabilità, pertanto, tra meno di un anno gli abitanti dell'Agrigentino saranno chiamati alle urne per eleggere presidente e Consiglio provinciale.

Il mandato di Eugenio D'Orsi, infatti, iniziato nel giugno del 2008 volge ormai a scadenza. Bisognerà vedere se il decreto verrà emanato e soprattutto se manterrà questi criteri. Più volte si è cercato di intervenire su questo campo, senza però riuscire a concludere alcun taglio. In tanti, come già accaduto, sono comunque pronti ad alzare gli scudi: «Intervenire sulle Province con decreto legge è incostituzionale», è stato più volte detto.

Il Presidente Eugenio D'Orsi, a conoscenza della vicenda, da un lato è soddisfatto dall'altro cerca di mantenere i piedi per terra, prima vuole leggere la norma pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Di una cosa però è certo: se la Provincia di Agrigento non venisse soppressa, tornando così alle urne tra qualche mese, lo stesso D'Orsi è pronto alla ricandidatura: «Non solo mi candiderò - ci dice - ma in quella competizione elettorale metterò innanzitutto a disposizione le cose concrete che ho fatto con tanto di documentazione cartacea. In più - conclude - devo difendere la mia dignità non solo nelle aule di tribunale, dove ci sono magistrati seri e professionalmente validi, ma voglio confrontarmi con il giudizio dei cittadini».

Totò Frequente

venerdì 17 febbraio 2012

Province, Pdl-Pd-Udc chiedono di riordinarle e non vogliono abolirle

Non un'abolizione vera e propria, ma una riorganizzazione che ne ridefinisca le funzioni e il rango costituzionale. E' questa la proposta su cui converge la maggioranza per varare una riforma delle Province tanto invocata quanto rinviata nel tempo. Il dibattito non è ancora entrato nel vivo e, a quanto pare, servirà un impulso del governo per indurre il Parlamento ad attivarsi. Ma nelle ultime settimane hanno cominciato a discuterne i partiti di maggioranza, Pd, Pdl e Terzo polo, delineando la cornice di una bozza che è stata inviata ieri al premier, Monti.

In sostanza, si prevede l'abolizione delle Province come livello istituzionale a elezione diretta, e la trasformazione in «strutture di emanazione dei Comuni, una sorta di agenzia intercomunale multi-servizi governata da un board di sindaci». Si tratterebbe, naturalmente, di una riforma costituzionale che richiede tempi lunghi. Ma ha una scadenza: l'aprile 2013, termine entro il quale il decreto milleproroghe ha rinviato il limite temporale del 30 aprile prossimo, indicato dal precedente governo. L'orientamento generale, comunque, sembra essere quello di non abolire drasticamente le Province, nonostante siano da molti considerate un inutile spreco di denaro pubblico. Non a caso, negli ultimi anni di progressive ristrettezze, sono entrate spesso nel mirino delle schiere anti-casta, visto che richiedono il mantenimento di un discreto esercito di eletti e relativo personale amministrativo.

In realtà, gli studi comparati sul costo degli enti locali dimostrano che molto più costosi delle Province sono i Comuni e le Regioni. L'abolizione, insomma, inciderebbe in modo poco significativo sulle casse dello Stato. Ma sul fatto che, così come sono, siano enti poco produttivi, sono d'accordo tutti. Tranne la Lega che continua a difenderle a spada tratta, anche in ragione delle numerose amministrazioni provinciali che detiene al Nord, con tutto l'indotto di voti e controllo politico che questo comporta. Proprio ieri, con i voti della Lega e del Pdl, la Giunta delle elezioni alla Camera ha salvato dall'incompatibilità i deputati che ricoprono anche l'incarico di presidenti di Provincia (quattro del Pdl, tre della Lega e uno dell'Udc), derogando da una recente sentenza della Corte Costituzionale. La soluzione che si fa largo nell'attuale maggioranza è stata dibattuta negli ultimi giorni all'interno del Pd che punta a riordinare le Province secondo distretti più ampi e con differenti funzioni. Ad assorbire le attuali competenze provinciali dovrebbero essere in parte le Regioni e in parte i Comuni, ai quali spetterebbe anche una gestione associata delle nuovi distretti provinciali.

giovedì 2 febbraio 2012

Agrigento: No alla chiusura delle Province

Una cosa unisce tutti senza differenza di partito. Non importa l'appartenenza: destra, sinistra e centro sono concordi: l'abolizione delle Province, prevista nel decreto "Salva Italia" di Monti, non va bene.

È quanto venuto fuori l'altra sera nel corso della riunione straordinaria del Consiglio Provinciale. Ad Agrigento come in tutte le altre 106 Province d'Italia nella giornata di mobilitazione nazionale contro il decreto. Tutti contrari pertanto.

Ma il presidente D'Orsi dopotutto si sente ottimista. «Credo che la politica che ha spostato l'attenzione sulle Province - ci ha detto - sarà la stessa che non le farà chiudere. Io, infatti, sono convinto - ha aggiunto - che si troverà una soluzione, passando anche dall'accorpamento delle Province più piccole; ma vedrete - ha concluso il capo dell'Amministrazione - che nel 2013 troverete ancora qui il presidente Eugenio D'Orsi, votato ed eletto dai cittadini».

domenica 29 gennaio 2012

Giornata di mobilitazione nazionale contro la chiusura delle Province

Il presidente del Consiglio provinciale, Raimondo Buscemi, chiama tutti a raccolta: chiede a consiglieri, assessori, e dipendenti di partecipare numerosi alla riunione del Consiglio Straordinario prevista per martedì prossimo, 31 gennaio.

Anche Agrigento, infatti, assieme alle altre 106 Province d'Italia partecipa alla giornata di mobilitazione straordinaria convocata dall'Upi (l'Unione delle Province Italiane) per discutere sul loro futuro dopo l'approvazione del decreto legge "Salva Italia". «Modificare le competenze delle Province, svuotandole di fatto di tutti i compiti essenziali, non è il modo migliore di abbattere il costo della Pubblica Amministrazione - ha dichiarato Raimondo Buscemi - il rischio che si corre è proprio quello di creare un ente inutile e dare vita a seri disservizi ai cittadini, basti pensare alla viabilità e alla edilizia scolastica nelle scuole medie superiori».

Il motto della giornata è: "No all'Italia senza le Province". Esiste, poi, la questione dell'autonomia statutaria della Sicilia, che aveva istituito nel 1986 le Province Regionali, aumentandone le competenze. Anche per questo l'Unione delle Province siciliane, ha dato il via al gruppo di lavoro per l'elaborazione di un disegno di legge sul riordino delle competenze delle Province da proporre all'Ars. Ad Agrigento la seduta del Consiglio Provinciale Straordinario (alle ore 18 nell'aula Pellegrino) è aperta alla partecipazione dei dipendenti e della cittadinanza, delle forze economiche, sociali e delle Istituzioni territoriali.
Carrozzoni inutili o istituzioni necessarie? È questo l'argomento centrale.

Intanto, un'altra questione ha sollevato un polverone all'interno della Provincia. Ad accendere la miccia la nota di mercoledì scorso dei consiglieri del Pdl Paci e Lazzano che denunciavano una situazione da loro definita «paradossale e quasi comica». Si faceva riferimento ai tre assessori senza delega, che per i consiglieri, per diversi mesi si sono «limitari a percepire l'indennità di carica».
E intanto giovedì il presidente D'Orsi ha provveduto ad assegnare il settore ai tre membri della giunta. Così Ignazio Amato di Fli, nominato il 3 novembre, dopo 84 giorni ottiene la delega. Si occuperà di Pubblica Istruzione ed Edilizia Scolastica. Vito Terrana del Mpa, nominato il 7 ottobre ha avuto assegnati i Lavori Pubblici. È stato senza delega per 111 giorni. Infine il ciminiano Giuseppe Montana si occuperà di Cultura, Sport e Spettacolo. Nominato assessore il 16 agosto, ha ottenuto la delega solo dopo ben 162 giorni.
Sulla polemica politica i tre protagonisti, Amato, Terrana e Montana, hanno definito le dichiarazioni dell'opposizione come «illazioni prive di fondamento». Perché, a loro avviso, «il ruolo politico e amministrativo degli assessori non è limitato dalle deleghe che vengano loro conferite. Né l'assenza di queste si traduce nell'assenza di attività amministrativa».

L'Italia delle Province - L'Italia senza le Province. Brochure

martedì 18 ottobre 2011

Abolizione delle province, giunta Lombardo approva il ddl

La Sicilia si avvia verso l'abolizione delle province. La giunta regionale guidata da Raffaele Lombardo ha approvato un disegno di legge che prevede il passaggio dalle province ai cosiddetti Liberi consorzi di comuni. A darne l'annuncio e' stato lo stesso presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo durante un incontro con la stampa. La finalita' del ddl che entro il 31 maggio 2013 prevede l'abolizione di tutte le province siciliane e' quella della "attuazione dei principi di sussidiarieta', semplificazione, legalita', autonomia, decentramento con conseguente miglioramento della qualita' dei servizi pubblici e del contenimento dei costi per il cittadino", come spiega Lombardo.

Il passaggio dalle province ai Liberi consorzi di comuni avverra', sempre secondo il ddl che dovra' essere discusso all'Assemblea regionale siciliana, "con maggiore responsabilizzazione e autonomia dei comuni e con conseguente e sensibile snellimento dell'apparato burocratico-anmministrativo finora previsto per gli enti locali in Siciulia". Il decentramento avverra' con il trasferimento di funzioni dalla regione ai comuni e Liberi Consorzi di comuni. Questi ultimi verranno costituiti mediante delibera da uno o piu' comuni. I requisiti sono: la continuita' territoriale e una popolazione residente di almeno 2.500 abitanti.

A firmare il ddl e' stato l'assessore regionale per le politiche sociali della Sicilia Caterina Chinnici "se il ddl dovesse diventare legge cambierebbe la struttura della regione", ha spiegato Raffaele Lombardo. E l'assessore Chinnici ha ricordato che il ddl e' arrivato "dopo diversi colloqui con le istituzioni e dopo 8 mesi di confronti". La Regione si dice pronta a "recepire ogni modifica che rientri in questa strategia".

Fonte. siciliainformazioni.com

martedì 6 settembre 2011

Manovra finanziaria 2011: Rialzo dell'Iva, contributo di solidarietà e pensioni

Il Governo ha rimesso ancora una volta mano al testo della manovra approvato domenica dalla commissione Bilancio del Senato e ha deciso l'introduzione di alcune novità concordate nel corso di un vertice di maggioranza a palazzo Grazioli con il premier Silvio Berlusconi, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli.

Al termine della riunione un comunicato ufficiale del governo ha reso noto che nel maxiemendamento, che dovrebbe essere approvato entro domani (7 settembre 2011) da palazzo Madama con voto di fiducia, saranno inserite queste tre novità di peso:
  1. L'aumento di un punto dell'Iva dal 20 al 21% dell'aliquota ordinaria, con destinazione del maggior gettito al miglioramento dei saldi del bilancio pubblico. Secondo una stima del Sole 24 Ore - elaborata in vista degli emendamenti - un punto di aumento dell'Iva dal 20 al 21% vale 4,9 miliardi. Il ritocco dell'Iva peserà 2.719,1 milioni sul Nord, 1.193,7 milioni sul Centro Italia e 968,6 milioni sul Sud. Per ora resteranno invece inalterate le aliquote ridotte, fissate al 4 e al 10 per cento.
    Tra i beni interessati all'aumento vanno considerati giocattoli, tv ed elettrodomestici, cd, auto con cilindrata superiore ai 2000 mc, motocicli con cilindrata superiore ai 350 mc, abbigliamento e calzature, autofurgoni, navi e imbarcazioni di stazza lorda superiore a 18 tonnellate, parrucchiere, detersivi, caffè, cioccolato e altri prodotti a base di zucchero, tabacchi, telefonia e in generale tutti i beni considerati di lusso come vini e spumanti "doc", tappeti, gioielli in platino, pelli da pellicceria o conciate.
    Quando aumenterà l'iva?
    L'aumento dell'aliquota ordinaria Iva dal 20 al 21% scatterà dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge che convertirà definitivamente il decreto legge 138 del 13 agosto scorso (la Manovra di Ferragosto). Quindi, gli aumenti potranno scattare solo quando ci saranno i voti di Camera e Senato sul decreto legge e solo quando votato dal Parlamento uscira' sulla Gazzetta Ufficiale. Aumenti prima di questa data NON sono giustificati e non c'entrano con l'Iva.
  2. Un contributo di solidarietà del 3% sopra i 500mila euro «fino al pareggio di bilancio». Secondo fonti governative sono 11mila i contribuenti italian che dichiarano un reddito annuo superiore ai 500mila euro l'anno. Le dichiarazioni dei redditi sono complessivamente in Italia oltre 41 milioni. È su questi 11mila che dovrebbe pesare il contributo di solidarietà del 3% che verrà inserito in manovra. Il contributo varrà 35 milioni di euro nel 2012 e 87,7 milioni dal 2013, a regime. E sarà deducibile.
  3. L'anticipo dell'aumento dell'età di pensionamento delle donne nel settore privato già dal 2014. Il provvedimento anticipa di due anni l'adeguamento nel settore privato delle pensioni delle donne. Scatteranno già dal 2014, invece che dal 2016. Non è stata toccata la norma sul pensionamento delle donne che lavorano nel pubblico impiego, già fissata in passato: andranno in pensione a 65 anni dal 2012.

    Inoltre il consiglio dei ministri varerà un ddl costituzionale per:
  4. Inserire in Costituzione l'obbligo al pareggio di bilancio, in particolare sarà modificato l'articolo 81. La decisione diventerà operativa nel Consiglio dei ministri di giovedì 8 settembre. Da una parte la decisione presa risponde all'esigenza di rispetto degli accordi politici assunti dall'Italia in sede europea con l'accordo Europluss, dall'altra sarà modificata una norma che ha smesso da anni di funzionare.
  5. Attribuire alle Regioni le competenze delle Province. Palazzo Chigi annuncia l'abolizione delle Province, segnalando che giovedì il Cdm approverà «l'attribuzione alle Regioni delle competenze delle Province». Per abolire le Province occorre una modifica costituzionale, perché l'articolo 114 della Costituzione stabilisce che «la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato». Dopo il Consiglio dei ministri di giovedì 8 settembre, dunque, doppia votazione in ogni Camera, nella maggioranza qualificata dei due terzi richiesti per modificare la Carta costituzionale.
La fiducia che il governo metterà domani (7 settembre 2011) al Senato sulla manovra di Ferragosto, è la numero 49 per il governo Berlusconi IV nei suoi tre anni di vita. Il governo Berlusconi II, in carica dal 2001 al 2005, aveva posto 31 questioni di fiducia in poco meno di quattro anni.

Ecco punto per punto le novità della manovra

Il testo completo del Maxiemendamento

Tratto da ilsole24ore.com