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sabato 16 aprile 2011

Salvatore Cuffaro: «Scontata la pena farò l’agricoltore».

L'ex presidente della Regione Sicilia rilascia un'intervista a Panorama e racconta la sua vita nel carcere di Rebibbia, dove dal 22 gennaio scorso sconta una condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato: "Quest'esperienza pone fine alla mia carriera politica. Ho la serenità per capire che si è chiusa una pagina bellissima e affascinante della mia vita. Sette anni di galera sono tanti. E io sono realista. Ricevo migliaia di lettere e le visite degli ex colleghi. Ma non vivo nell'iperuranio. Oggi parlare di Totò Cuffaro interessa, ma fra qualche anno sarò solo un numero. Il mio futuro è la campagna. E una volta uscito da qui farò l'agricoltore, come ho sempre sognato".

Non manca l’attacco a Lombardo, ex fratello politico adesso diventato coltello. "Il suo tradimento", sostiene Cuffaro, "è stata la cosa che mi ha fatto soffrire di più nella vita. Mi ha usato: deve a me la sua elezione, ma il giorno dopo la vittoria ha rotto scientificamente ogni rapporto"


Braccio g8, ultima cella in fondo al corridoio. Salvatore Cuffaro, per tutti Totò, si è alzato alle 7 di mattina dalla sua branda dopo la solita notte insonne, divisa tra invocazioni alla Madonna e sottaciuti patimenti. Ha risposto a qualche lettera, dopo aver bevuto il caffè. Ha corso per un’ora. Poi ha fatto la doccia: «Lunga e calda, il momento più bello della giornata». Tornato in cella, si è vestito con cura: pantaloni blu, camicia bianca a quadretti, maglia di lana viola e orologino di plastica al polso. Arriva in una stanza di Rebibbia rasato, con qualche chilo di meno e l’aria provata. L’uomo più potente e votato della politica siciliana del dopoguerra è in carcere dal 21 gennaio 2011.
Sette anni per favoreggiamento aggravato alla mafia: condanna sancita dalla Cassazione. Cuffaro è stato presidente della Sicilia per sette anni, fino al 2008. Poi è diventato senatore dell’Udc. Infine ha fondato il Pid, partito capofila dei Responsabili. Uomo affettuosissimo, abilissimo, chiacchieratissimo. Ha mosso per anni centinaia di migliaia di voti, con un richiamo elettorale inferiore solo a quello del Cavaliere. Per i prossimi sei anni, sperando nei permessi premio, sarà un detenuto comune.

È una cella piccola, la sua?
No, sarà 16 metri quadrati… Ci sono quattro letti, il bagno e la televisione.

Che vita fa?
Mi alzo alle 7, ma solo perché prima non saprei cosa fare. Mi faccio la barba, dopo siedo al tavolo e comincio a rispondere a chi mi scrive. Ricevo almeno una quarantina di lettere al giorno, da tutt’Italia. Fino a oggi ne ho contate circa 2.500. Le mandano avvocati, imprenditori, politici, alti prelati come il cardinale Camillo Ruini. Ma soprattutto gente umile, che mi ha incontrato una volta o mi ha visto in tv.

E dopo avere sbrigato la corrispondenza?
Vado a correre un’oretta. E poi faccio la doccia: c’è l’acqua calda, e ci posso rimanere quanto tempo voglio. Mi piace questa sensazione di pulizia. Dopo mi rimetto a scrivere e leggere fino a quando non aprono la cella. E studio, perché mi sono iscritto a giurisprudenza. Insomma, cerco di tenermi impegnato. Fino alle 11 di sera, quando spengono le luci.

Dorme?
No, resto con le mani intrecciate dietro la nuca e gli occhi sbarrati. È il momento più difficile della giornata: la notte è terribile. C’è un silenzio inimmaginabile, squarciato ogni tanto da qualcuno che grida, le cornacchie che gracchiano, i gatti che litigano.