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martedì 20 marzo 2012

Cosa ne sarà del Terzo Polo?

Fini guarda già oltre l'accordo terzopolista ma i suoi temono che voglia sciogliere Fli.

Non si sa cosa abbia in mente di preciso Fini quando assicura che «Fli c'è e ci sarà». Non si sa come coniugherà la garanzia data ai suoi (parecchio riottosi) che «non c'è alcuna ipotesi di scioglimento» con l'invito a guardare alla luna e non al dito, a «rischiare» ancora, a mettersi di nuovo in marcia insieme a tanti altri (Montezemolo, per esempio) per la costituente di un nuovo polo nazionale.

Fini dice che Fli non si scioglierà, ma ogni parola e ogni ragionamento di colui che oggi ne è il capo porta a pensare l'esatto contrario e fa della convention che si è chiusa ieri a Pietrasanta la prima tappa di un altro viaggio oltre il Terzo polo, verso un rassemblement ancora più ampio dove staranno insieme pezzi di partiti, volontariato, società civile, professioni, mondo dell'impresa e (perché no?) anche esponenti del governo Monti. I fedelissimi restano spiazzati dall'ennesimo rialzo della posta. E si preparano a saltare un'asticella ancora più alta.
Ma Fini li rincuora: «Dobbiamo essere co-protagonisti assieme a tanti altri di un movimento per modernizzare la Repubblica, con quel patriottismo repubblicano che già sta guidando l'azione di Monti». Ed è «retorico» starsi a interrogare adesso su chi avrà la guida. «Chi ha più filo tesse», si mette in gioco di squadra Fini, mentre Casini dichiara di essere pienamente d'accordo sul commissariamento della Rai e sul sostegno incondizionato a Monti.

Fini spiega una volta di più che «limiterebbe la possibilità di dialogare con la società» una rigida organizzazione di partito. Perciò, sprona piuttosto Fli a muoversi da grande movimento aperto, «in un'azione plurale, senza sentirci i migliori né avere complessi. Fli c'è, ma non chiamiamolo partito. E' un progetto. Questa è la sua ragion d'essere: modernizzare l'Italia». Fini ha spiegato bene (anche a Casini) di volerlo fare «senza mai più tornare con il Pdl» e senza essere centrista, pur nell'aspirazione di stare al centro della politica. I compagni di strada in parte già ci sono (Casini, Rutelli) e in parte verranno.

Contatti sono in corso con Cordero di Montezemolo, «un personaggio molto corteggiato della politica, a volte contestato a priori, che ha detto di voler ragionare su un patto liberale per le riforme: un progetto non molto diverso da quello che ho illustrato. Ci confronteremo e ci vedremo».

Quanto ai temi, Fini lancia un paio di proposte sulla corruzione (non candidare chi abbia una condanna di primo grado per reati contro l'amministrazione pubblica ed escludervi chi abbia una condanna definitiva) e sprona Monti a fare la sua proposta sul lavoro nel nome dell'interesse generale e senza subordinarla all'intesa con le parti. «Come fece sulle pensioni dove, se la proposta fosse stata subordinata all'intesa, sarebbe stata rinviata di altri dieci anni». Cautela, invece, sul dopo Monti: «Il premier ha detto che al termine della sua esperienza chiuderà con la politica e io non sono abituato a tirarlo per la giacca. Ma la politica è concretezza; è affrontare i problemi e risolverli e sono convinto che sono sempre di più gli italiani che vogliono qualcosa di diverso dal consolidato confronto Pd-Pdl».

Intervista di Fini su La7

Milena Di Mauro

giovedì 27 ottobre 2011

Baby pensionati, Fini attacca la moglie di Bossi

Da sinistra Manuela Marrone e Antonio Di Pietro
In Italia c'è una "casta" di oltre mezzo milione di persone che percepiscono l'assegno previdenziale con meno di vent'anni di contributi. Ma tra i nomi eccellenti c’è anche Di Pietro.

Insulti e schiaffoni. A Montecitorio finisce in rissa. I deputati leghisti non hanno gradito la sortita di Gianfranco Fini, che martedì sera, da Ballarò, ha rinfacciato a Umberto Bossi di avere una moglie “baby pensionata”. «Non tolleriamo i soprusi e le ingiustizie», strepita il capogruppo alla Camera (a termine), Marco Reguzzoni. «Il suo comportamento è inopportuno», gridano i parlamentari del Carroccio, che chiedono le dimissioni del presidente della Camera. Ma Fini è imperturbabile: « Non è questa la sede in cui il presidente della Camera può dare risposte politiche; se lo facessi, avallerei l’accusa di partigianeria nei miei confronti che ritengo insussistente. Saranno altre le sedi in cui, se lo riterrò, eserciterò il diritto di replica». Nel frattempo il leader della Lega s’è già avvalso della facoltà di mandare Fini a quel paese.

Manuela Marrone, in Bossi, è andata in pensione a 39 anni. Anche se continua a insegnare in una scuola privata, la sua, come ha ingenuamente ricordato il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. La signora appartiene a una fortunata generazione, che ha potuto beneficiare di straordinari (e dissennati) privilegi previdenziali. Non ha violato alcuna legge. Ha soltanto approfittato di un’opportunità. La normativa prevedeva un tempo che le impiegate pubbliche con figli potessero ottenere l’assegno di anzianità, con appena 14 anni, 6 mesi e un 1 giorno di contributi versati. Tetto che saliva a 19 anni e mezzo, per gli uomini. E a 25 per i dipendenti degli enti locali. In Italia i baby pensionati sono 535.752 e costano 9,45 miliardi di euro. Il 65% per cento è al Nord: 110.497 in Lombardia. Seguono, nella classifica delle regioni a più alta presenza di baby pensionati, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Piemonte. In soldoni, sei miliardi abbondanti finiscono in quella che Bossi chiamerebbe “Padania”. Non sarà un caso che il leader della Lega minacci fuoco e fiamme ogni qual volta si parli di interventi sulle pensioni d’anzianità. Ecco perché è difficile immaginare che il Carroccio possa accettare compromessi in materia previdenziale. Ed è così che Silvio Berlusconi si è presentato oggi a Bruxelles con una letterina di buoni propositi, invece che con una lista di provvedimenti varati.

La professoressa Marrone è in pensione dal 1992. E ha già un saldo attivo tra contributi versati e assegni incassati. La coniuge Bossi è in ottima, abbondante e perfino insospettabile compagnia. Due “colleghe” sono addirittura concentrate nella stessa famiglia. Quella di Giulio Tremonti. Sono baby pensionate, infatti, sia Fausta Beltrametti, sia Angiola Tremonti, rispettivamente moglie e sorella del ministro dell’Economia. Colui che sarebbe istituzionalmente competente, sia detto per inciso, a intervenire sulla spinosa materia pensionistica. E il cerchio si chiude, anzi no.

Perché c’è un baby pensionato che desta ancor più scalpore. Si chiama Antonio Di Pietro. È il leader dell’Italia dei Valori. Basa il suo messaggio politico su robuste dosi di demagogia. Ma non ha avuto alcun problema ad andare in pensione a 45 anni, nel 1995.

Tra i “giovani pensionati”, lato senso, si trova un altro nome che non ti aspetti. Quello di Cesare Romiti. È vero che il manager ha lavorato tutta la vita. Ma è altrettanto vero che l’ex amministratore delegato della Fiat è andato in pensione a soli 54 anni, nel 1977. Accomunato ma non travolto da un identico destino è il suo rivale storico, Carlo De Benedetti. L’editore del gruppo L’Espresso riscuote una pensione anticipata Inpdai dal 1993, quando aveva soltanto 58 anni. E da quel dì incassa un assegno mensile di quattromila euro. In questo stravagante elenco si trova anche Adriano Celentano. Il Molleggiato dal sermone facile, appena cinquantenne, si guadagnò una pensioncina che oggi ammonta a circa mille euro al mese. Era il lontano 1988. Altri tempi, altre prediche.

Fonte: oggi.it

sabato 8 ottobre 2011

Fini a Palermo: "C'è un'Italia in cui credere"

"In Italia quello che va ridotto non è il costo della politica ma di tutti quegli apparati che nel corso degli anni sono proliferati attorno alla politica e la Sicilia non è certo la Regione con il modello più virtuoso".

Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini parlando agli imprenditori nella sede di Confindustria a Palermo.
Fini ha parlato anche del ministro dell'Agricoltura Saverio Romano, dicendo che se è rimasto in carica è stata un occasione persa da parte della maggioranza che per "opportunità" politica avrebbe potuto esprimersi diversamente, anche se l'accusa di mafia, ha aggiunto il leader di Fli, dovesse cadere.

La legge sulle intercettazioni: "La legge sulle intercettazioni non è la migliore legge per l'interesse nazionale ma forse per l'interesse personale di qualcuno". Gianfranco Fini boccia il testo che Cavaliere e maggioranza vogliono fortemente e che contiene norme in grado di depotenziare un indispensabile strumento di indagine. E sempre sulla questione giustizia lancia una nuova frecciata al premier: "Un giorno serve il processo breve e un giorno il processo lungo a seconda di quello che conviene".

Legge elettorale. "Va cambiata, ma c'è un "paradosso: si va a votare con una legge fatta dal parlamento, o dal referendum o, ancora peggio, con quella attuale? - dice Fini - Che logica è fare la legge elettorale senza sapere quale sarà il numero dei parlamentari domani, o se il senato continuerà a mantenere l'assetto attuale, che è lo stesso del 1948?".
E' giunto il momento di tagliare, rilancia il presidente della Camera: "Come è possibile continuare ad avere 945 parlamentari, centinaia di consiglieri e deputati regionali con costi a volte piu" alti di quelli nazionali e poi, Comuni, consorzi. C'è un reticolo e un apparto che è diventato insopportabile. E' lì che si deve disboscare".

La crisi economica.
E' la credibilità del governo che rende possibile la patrimoniale, come disse Einaudi già nel 1946" incalza Fini. Che si dice favorevole ad un innalzamento dell'età pensionabile. Ad una condizione: "Che quello che lo Stato risparmierebbe vada a costituire un fondo per l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e per migliorare la loro professionalità".
 
Il futuro "Il vizio della politica italiana è quello di usare lo specchietto retrovisore o pensare solo al presente. Non ci si chiede quale sarà lo scenario tra 10 anni. Ieri Draghi ha detto che l'Italia rischia di bruciare una generazione, in quanto abbiamo il più alto tasso di giovani che non lavorano e non studiano nell'Unione europea. Vogliamo affrontare questo problema?  - si domanda Fini - Guardiamo alla Germania che ha deciso che per i prossimi 15 anni chiunque governi avrà nel bilancio alla voce della ricerca sempre il segno più".

Poi tocca alla Lega. E i toni si fanno irridenti. "Quelli della Lega danno il meglio quando a Pontida si vestono da Unni e Barbari. la secessione? Fuori dalla storia". E anche il federalismo finisce nel mirino di Fini: "Mi dispiace dirlo ma il federalismo ha aumentato il prelievo fiscale. Era stato caricato di attese miracolistiche, come se fosse la panacea di tutti i mali".

Clicca qui per vedere il video di Gianfranco Fini al Politeama di Palermo.

martedì 25 gennaio 2011

La massoneria dietro Berlusconi

Bruno Rozera

«I 'grembiuli' sono schierati con il premier e contro Fini. Licio Gelli è finito, ma sopra di lui c'è sempre stato e c'è ancora un livello superiore di affari e di trame, con contatti nei servizi». A 92 anni, parla Bruno Rozera, enciclopedia vivente delle logge italiane. 

Tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, con chi sta la massoneria? Bruno Rozera, 92 anni, il massone più anziano d'Italia, ha la risposta pronta: "La massoneria è schierata con Berlusconi".

Per questo giornali storicamente amici del Grande Oriente come "l'Avanti", ora di Aldo Chiarle e Valter Lavitola, ci avrebbero dato dentro con l'inchiesta sul presidente della Camera e la famosa casa a Monte Carlo di suo cognato, Giancarlo Tulliani. Ma anche sui misteri che hanno accompagnato la prima e questa morente seconda Repubblica, non è ancora detta l'ultima parola. A cominciare dai capi occulti della P2: secondo Rozera, la storia non finisce con le indagini della commissione parlamentare di Tina Anselmi.

Prefetto in pensione e fratello di 33 grado in sonno per ragioni di età, Bruno Rozera può parlarne in prima persona. La sua testimonianza è un'enciclopedia. Vissuta in diretta. Dalle trincee in Libia come ufficiale di artiglieria alle cronache sul bunga-bunga nelle notti calde di Arcore, non si è perso nulla. Ha partecipato alla difesa di Roma dopo l'8 settembre. Ha combattuto con gli inglesi a Montecassino. È sopravvissuto allo sbarco ad Anzio. Ha operato come agente dell'Office of strategic services nella guerra di Liberazione. È diventato ispettore generale nel ministero dell'Interno dell'Italia repubblicana e sovrano ispettore del Grande Oriente d'Italia. Amico di Licio Gelli e degli italo-americani che per decenni hanno giocato al colpo di Stato sulla pelle degli italiani. Antifascista dichiarato, ha avuto il tempo di prenderne le distanze. Privilegio di chi, nato il 15 luglio 1918, mantiene la lucidità di un ragazzino.

Prefetto Rozera, alla fine chi ha beneficiato di trame e complotti?
"Servivano a stabilizzare la Dc. Il colpo di Stato credo che sia stato fatto in epoche successive. Con l'appoggio di certe persone. Anche con forze che vorrei dire mafiose, ma non certo statali".

Veniamo allora all'attualità. I massoni italiani stanno sostenendo Berlusconi?
"Posso rispondere che c'è massone e massone. Come c'è uomo e uomo".

E tra Berlusconi e Fini, la massoneria con chi si è schierata?
"La massoneria è con Berlusconi".

Per questo "l'Avanti" avrebbe indagato sul presidente della Camera?

"Non conosco personalmente Valter Lavitola. Ma Chiarle è un caro amico. Ha amicizie nella massoneria".

Perché sostenere Berlusconi?
"Perché Berlusconi qualche aiuto lo dà. Io non vedrei misteri dove non stanno".

Rozera e Berlusconi hanno almeno una cosa in comune: l'elenco della P2
.
"Zero porta a zero. Con me niente".

Il suo nome c'è, numero 76.

"Certo, l'elenco lo conosco. Ho chiesto a Giuseppe Telaro di togliere il mio nome immediatamente".

Chi?
"Telaro. Si occupava della segreteria dell'ordine massonico. Curava i fascicoli e così tanta gente si è trovata iscritta alla P2. Il professor Telaro era un dipendente del ministero della Pubblica istruzione. Aveva rapporti con la Sicilia. Grazie ai suoi contatti incontrai un giorno il boss Frank Tre dita Coppola, al confino in provincia di Roma. Costruiva palazzi. A quel pranzo c'era un sindaco di allora della capitale. Telaro aveva amicizie ben qualificate. Anche con Franco Restivo, ministro dell'Interno nel 1970".

Torniamo a Gelli.
"Gelli mi ha stimato. E gli devo chiedere scusa perché un giorno, interrogato da un magistrato, risposi che era un arteriosclerotico. Gelli voleva affidarmi la Lega italiana. E forse ho fatto male a non prenderla, con le mie modeste capacità sarebbe diventato un partito".

giovedì 30 settembre 2010

Di Pietro ed il suo linguaggio

Alla fine Berlusconi ce l'ha fatta: ha ottenuto 342 voti di fiducia.

L'Aula della Camera ha infatti confermato la fiducia al governo. I no sono stati 275 e tre gli astenuti. Determinanti sono stati i 33 voti dei finiani e i 4 dell'Mpa.

Di Futuro e Libertà il "no" alla fiducia al governo Berlusconi è arrivato dal deputato Fabio Granata che spiega così il suo voto contrario: - "Ho votato contro la fiducia come reazione simbolica agli attacchi vergognosi a cui, in questi mesi, è stato sottoposto il presidente Fini sul piano politico e personale. Mi riconosco e condivido pienamente le posizioni del gruppo Futuro e Libertà per l’Italia, così come espresse oggi in aula dal capogruppo Bocchino. Il nostro gruppo parlamentare, anche attraverso l’asse strategico con l’Mpa, ha dimostrato di essere tassello indispensabile per la governabilità".

Ma a far scalpore in aula non è stato il no di Granata di Fli (convocato per questo motivo dal presidente della Camera nell'ufficio di Montecitorio subito dopo) nè tantomeno l'astensione di un esponente del Mpa, Aurelio Misiti ma il discorso dell'On. Antonio Di Pietro.

Il leader dell'Idv inizia così il suo commento: "Lei non è un presidente del Consiglio, ma uno stupratore della democrazia". Una frase che ha spinto il presidente della Camera Gianfranco Fini a richiamare l'ex pm: "Onorevole Di Pietro, la prego di usare un linguaggio consono a quest'Aula". Di Pietro è andato avanti con le accuse di aver prodotto con il suo governo soltanto "leggi ad personam in difesa dei suoi interessi e per sfuggire alla giustizia, assieme alla sua cricca". Il suo intervento con il passare del tempo diventa sempre più acceso, ci manca poco e rischia quasi di sfociare nel turpiloquio.
In varie occasioni costringe il Presidente della Camera Fini ad intervenire e a richiamarlo all'ordine: «La prego di usare termini che siano consoni al luogo in cui si trova, è ammessa ogni espressione non può essere tollerata l’ingiuria».

Io credo che ci sia modo e modo di esprimere il proprio pensiero, la si può dire in maniera offensiva così da passare sicuramente dalla parte del torto, e in maniera più garbata, la sostanza rimane sempre la solita, ma la forma cambia.

Giudicate voi se l'intervento dell'On. Di Pietro rientra o no nei ranghi della dialettica civile.