Visualizzazione post con etichetta Antonio Di Pietro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Antonio Di Pietro. Mostra tutti i post

giovedì 27 ottobre 2011

Baby pensionati, Fini attacca la moglie di Bossi

Da sinistra Manuela Marrone e Antonio Di Pietro
In Italia c'è una "casta" di oltre mezzo milione di persone che percepiscono l'assegno previdenziale con meno di vent'anni di contributi. Ma tra i nomi eccellenti c’è anche Di Pietro.

Insulti e schiaffoni. A Montecitorio finisce in rissa. I deputati leghisti non hanno gradito la sortita di Gianfranco Fini, che martedì sera, da Ballarò, ha rinfacciato a Umberto Bossi di avere una moglie “baby pensionata”. «Non tolleriamo i soprusi e le ingiustizie», strepita il capogruppo alla Camera (a termine), Marco Reguzzoni. «Il suo comportamento è inopportuno», gridano i parlamentari del Carroccio, che chiedono le dimissioni del presidente della Camera. Ma Fini è imperturbabile: « Non è questa la sede in cui il presidente della Camera può dare risposte politiche; se lo facessi, avallerei l’accusa di partigianeria nei miei confronti che ritengo insussistente. Saranno altre le sedi in cui, se lo riterrò, eserciterò il diritto di replica». Nel frattempo il leader della Lega s’è già avvalso della facoltà di mandare Fini a quel paese.

Manuela Marrone, in Bossi, è andata in pensione a 39 anni. Anche se continua a insegnare in una scuola privata, la sua, come ha ingenuamente ricordato il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. La signora appartiene a una fortunata generazione, che ha potuto beneficiare di straordinari (e dissennati) privilegi previdenziali. Non ha violato alcuna legge. Ha soltanto approfittato di un’opportunità. La normativa prevedeva un tempo che le impiegate pubbliche con figli potessero ottenere l’assegno di anzianità, con appena 14 anni, 6 mesi e un 1 giorno di contributi versati. Tetto che saliva a 19 anni e mezzo, per gli uomini. E a 25 per i dipendenti degli enti locali. In Italia i baby pensionati sono 535.752 e costano 9,45 miliardi di euro. Il 65% per cento è al Nord: 110.497 in Lombardia. Seguono, nella classifica delle regioni a più alta presenza di baby pensionati, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Piemonte. In soldoni, sei miliardi abbondanti finiscono in quella che Bossi chiamerebbe “Padania”. Non sarà un caso che il leader della Lega minacci fuoco e fiamme ogni qual volta si parli di interventi sulle pensioni d’anzianità. Ecco perché è difficile immaginare che il Carroccio possa accettare compromessi in materia previdenziale. Ed è così che Silvio Berlusconi si è presentato oggi a Bruxelles con una letterina di buoni propositi, invece che con una lista di provvedimenti varati.

La professoressa Marrone è in pensione dal 1992. E ha già un saldo attivo tra contributi versati e assegni incassati. La coniuge Bossi è in ottima, abbondante e perfino insospettabile compagnia. Due “colleghe” sono addirittura concentrate nella stessa famiglia. Quella di Giulio Tremonti. Sono baby pensionate, infatti, sia Fausta Beltrametti, sia Angiola Tremonti, rispettivamente moglie e sorella del ministro dell’Economia. Colui che sarebbe istituzionalmente competente, sia detto per inciso, a intervenire sulla spinosa materia pensionistica. E il cerchio si chiude, anzi no.

Perché c’è un baby pensionato che desta ancor più scalpore. Si chiama Antonio Di Pietro. È il leader dell’Italia dei Valori. Basa il suo messaggio politico su robuste dosi di demagogia. Ma non ha avuto alcun problema ad andare in pensione a 45 anni, nel 1995.

Tra i “giovani pensionati”, lato senso, si trova un altro nome che non ti aspetti. Quello di Cesare Romiti. È vero che il manager ha lavorato tutta la vita. Ma è altrettanto vero che l’ex amministratore delegato della Fiat è andato in pensione a soli 54 anni, nel 1977. Accomunato ma non travolto da un identico destino è il suo rivale storico, Carlo De Benedetti. L’editore del gruppo L’Espresso riscuote una pensione anticipata Inpdai dal 1993, quando aveva soltanto 58 anni. E da quel dì incassa un assegno mensile di quattromila euro. In questo stravagante elenco si trova anche Adriano Celentano. Il Molleggiato dal sermone facile, appena cinquantenne, si guadagnò una pensioncina che oggi ammonta a circa mille euro al mese. Era il lontano 1988. Altri tempi, altre prediche.

Fonte: oggi.it

lunedì 19 settembre 2011

Di Pietro candida il figlio Cristiano, insorge il circolo dell'IdV

All'indomani della presentazione delle liste da parte dei partiti e del congresso dei dipietristi a Vasto (Chieti), gli appartenenti al circolo dell'Idv di Termoli hanno deciso di lasciare in blocco il partito contestando la decisione del leader Antonio Di Pietro di candidare il figlio Cristiano Di Pietro (nato il primo ottobre 1973 a Vasto, in Abruzzo, al confine col Molise).

La durissima nota del circolo Idv di Termoli:
I componenti del circolo dell’Idv di Termoli, conosciute le liste per le elezioni del consiglio regionale del Molise del 16 e 17 ottobre, e constatata la presenza nella lista dell’Idv di Cristiano Di Pietro, figlio del presidente nazionale Antonio Di Pietro, esprimono il loro risentito dissenso a tale candidatura. Essa infatti ci appare figlia della stessa concezione familistica e o privatistica che presumibilmente ha messo il capo della Lega Bossi a candidare e fare eleggere il figlio al consiglio regionale della Lombardia o il presidente del Pdl Silvio Berlusconi a candidare e fare eleggere Nicole Minetti al consiglio regionale. Per questa ragione l’intero circolo decide seduta stante di interrompere la propria esperienza politica con l’Idv. Gli stessi componenti, inoltre, confermano la loro appartenenza al centrosinistra con l’auspicio che le prossime elezioni regionali possano essere l’occasione di reale cambiamento della politica nel Molise”.

Antonio Di Pietro prontamente replica: "Cristiano non si è svegliato una mattina per trovarsi candidato. Quando abbiamo creato il partito, dieci anni fa, si è rimboccato le maniche anche lui e ha contribuito a costruirlo. Non è andato a fare il ’trota' di turno con un’elezione sicura in Parlamento, o in qualche listino regionale o in qualche assessorato. Si è candidato come consigliere comunale e lo ha fatto per cinque anni, senza diventare assessore nemmeno quando era in maggioranza. Poi si è candidato al consiglio provinciale e ha fatto il consigliere provinciale per altri cinque anni. Adesso si candida per andare a fare il consigliere regionale, se i cittadini lo vorranno."

La politica italiana si arricchisce quindi di nuovi personaggi. Il primo a rompere gli indugi è stato il giovane Renzo Bossi detto anche il "trota", poi la bella igienista dentale Nicole Minetti ed ora sembra giunto il momento del rampollo dell'ex pm, nonchè paladino della giustizia, della legalità, del merito e della meritocrazia. Guarda caso tra migliaia di iscritti dell'IDV toccherà proprio a lui questa "spiacevole sventura politica".

Chissà se nella politica di oggi ci sarà anche spazio per giovani trentenni non semianalfabeti, belli e figli di papà.

Il sito di Cristiano Di Pietro

venerdì 2 luglio 2010

Giulietto Chiesa: io, Di Pietro e quei soldi


Antonio Di Pietro? «E’ un uomo di potere, ma soprattutto è una persona sleale e scorretta, che usa il finanziamento pubblico per assicurarsi il controllo totale del suo partito, e quindi per conservare e incrementare il suo ruolo nella scena politica italiana».

Giulietto Chiesa, 70 anni a settembre, è stato eletto all’Europarlamento nel 2004 proprio nella lista capeggiata da Di Pietro, in un’alleanza di breve durata tra l’ex pm e Achille Occhetto. Chiesa, appunto, era candidato “in quota” a Occhetto e fu eletto a Strasburgo dopo la rinuncia dell’ex segretario del Pds. Il divorzio politico, poi, divenne una sanguinosa questione di soldi e di finanziamento pubblico che Di Pietro «si prese per intero», lasciando a secco l’altra componente, che lo portò in tribunale.
Ora che Di Pietro è indagato proprio per una presunta appropriazione non lecita di rimborsi elettorali, Piovonorane ha chiesto a Chiesa di raccontare la sua versione e i suoi ricordi di quel 2004.

Iniziamo da quando lei divenne europarlamentare con l’Italia dei Valori.
«Per la precisione, era una lista di coalizione tra Antonio Di Pietro e Achille Occhetto. Io fui chiamato appunto da Occhetto, che mi propose di candidarmi. Poi ebbi un colloquio con Di Pietrò e tutto sembrò andare bene».

In che senso?
«Io posi una questione per me dirimente, quella del pacifismo e dell’opposizione alla guerra in Iraq. Spiegai a Di Pietro le mie posizioni in merito, e lui mi rispose che non era ferratissimo sul tema ma si fidava di me, insomma non c’erano problemi. Così accettai la candidatura».

E poi?
«La lista andò male, meno del due per cento. Con due eletti, ovviamente Di Pietro e Occhetto. L’ex segretario del Pds però scelse di restare senatore e si dimise. Quindi gli subentrai io, primo dei non eletti».

E con Di Pietro?
«All’inizio ci fu una separazione consensuale, morbida. Insomma, avevamo capito subito che l’alleanza tra lui e Occhetto non aveva funzionato in termini di voti e quindi conveniva a tutti andare per la propria strada. Da una parte lui, con l’Italia dei Valori, dall’altra parte noi – diciamo – “occhettiani”, che ci chiamavamo Il Cantiere. Ma, ripeto, all’inizio non litigammo. Anzi, Di Pietro mi chiese di iscrivermi al gruppo liberal-democratico, per fargli avere più peso, e io accettai, anche se ero un po’ perplesso».