venerdì 28 ottobre 2011

Mafia, Salvatore Cuffaro ricorre alla Corte di Giustizia europea per violazione diritto a 'equo processo'

Il 22 gennaio scorso la sentenza della Cassazione conferma la condanna a sette anni a Salvatore Cuffaro per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e violazione del segreto istruttorio. Passano poche ore e per l’ex presidente della Regione Sicilia si aprono le porte del carcere di Rebibbia (leggi intervista). E oggi trascorsi oltre 9 mesi da quel giorno arrivano importanti novità.

Il perito che inchiodò Cuffaro confermando di aver udito la famosa frase “Ragiuni avia Toto’ Cuffaro" avrebbe dichiarato più volte davanti al giudice Raimondo Lo Forti, che presiedeva nel 2006 il processo Miceli, di non essere sicuro che questa frase fosse stata effettivamente pronunciata. Ma non basta. Incalzato più volte dal Presidente del Collegio e dai difensori dell’imputato Miceli avrebbe dichiarato anche di non essere un tecnico, di “non essere un esperto” (ascolta il file audio - Per ascoltare l'audio bisogna scaricare ed installare gratuitamente il lettore multimediale RealPlayer -).

La notizia, del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per avere ''diritto a un equo processo'' (art.6 Convenzione europea dei diritti dell'uomo), ha riacceso i riflettori sul processo che ha portato alla condanna a sette anni di carcere per l’ex governatore della Regione Sicilia, Totò Cuffaro. Fra i vari punti oggetto di contestazione da parte dei legali di Cuffaro, ci sarebbe la superperizia su una intercettazione ambientale dove, secondo quanto dichiarato dal perito del Tribunale, Roberto Genovese, la moglie del boss Guttadauro, Gisella Greco, avrebbe pronunciato la frase “Ragiuni avia Toto’ Cuffaro”.

Da quanto trapelato, tale intercettazione secondo i legali avrebbe avuto un ruolo importante nella condanna. Prodotta infatti all’interno del processo Miceli è stata acquisita come prova nel processo Cuffaro. Ma è proprio sulla udibilità di questa frase nell’intercettazione che si addensano oggi i maggiori dubbi.

Sembrerebbe infatti, come si evince dalle dichiarazioni dello stesso Genovese davanti al presidente del collegio giudicante (file audio pubblicato da Radio Radicale) che l’udibilità di questa frase non fosse del tutto chiara neanche a lui. Il perito, d’altra parte, sempre in quella sede, si sarebbe professato non esperto. Durante il processo Miceli il Tribunale fece affiancare Genovese anche da Giampaolo Zambonini, un tecnico della Polizia scientifica di Roma. << E’ stato operato un ascolto –affermò Zambonini- un ascolto da parte di un gruppo di dieci persone, appartenenti al servizio della scientifica. Il file audio è stato fatto ascoltare circa 10 volte agli operatori, singolarmente e in tempi diversi. Nessuno degli operatori è stato in grado di individuare il nome “Totò Cuffaro” autonomamente. Solamente dopo aver selezionato la parte oggetto di indagine, gli operatori sono stati concordi sulla presenza auditiva delle sole vocali “O” ed “A”. >>

Ma il Tribunale ha ritenuto attendibile soltanto la tesi di Genovese così come la Corte d’Appello, che ha aggravato la pena a Cuffaro con il riconoscimento dell’aggravante di aver voluto favorire la mafia. A concordare con il perito Genovese fu anche il consulente dell’accusa Baldassare Lo Cicero. La sentenza di condanna è comunque passata in giudicato e Cuffaro dovrà scontare sette anni di carcere.

Ai sensi dell’articolo 35 della Convenzione, la strada della Corte europea dei diritti dell’uomo, puo’ essere percorsa soltanto dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne ed entro sei mesi dalla data della decisione interna definitiva.

Il pool di esperti quindi sostengono che quella frase non sarebbe mai stata pronunciata da Totò Cuffaro. Una tesi che potrebbe certamente smontare il processo su cui è già stata scritta la parola fine.

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