giovedì 22 settembre 2011

La rivoluzione islandese

«Mi chiamo Hordur Torfason, sono un artista indipendente islandese. Penso che parte del mio lavoro di artista sia anche combattere il cattivo uso del potere». A 66 anni, Hordur Torfason è diventato il leader della rivoluzione silenziosa contro la finanza globale. E’ successo in Islanda: 320.000 abitanti su una superficie grande un terzo dell’Italia.

Nell’ottobre del 2008, falliscono le tre maggiori banche del paese: travolte dalla crisi dei subprime, non riescono a ripagare i creditori stranieri e vengono nazionalizzate dal governo del conservatore Geir Harde. Come da prassi, il governo in bancarotta accetta gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea per far fronte ai debiti: 3,5 miliardi di euro che intende chiedere agli islandesi con una manovra fiscale da 100 euro al mese a famiglia per 15 anni. Ma alla socializzazione del debito, l’Islanda risponde di no.
Quattordici settimane di manifestazioni portano alle dimissioni del governo, a nuove elezioni e a un referendum. Con il 93% dei voti, l’Islanda decide di Hordur Torfasonnon pagare i debiti contratti da banche private nei confronti di altri privati. «Quando è iniziata la crisi – racconta Torfason – sono andato davanti al Parlamento e ho detto alla gente che sarei stato lì tutti i giorni, a mezzogiorno. Credo che fosse il 17 ottobre del 2008. Chiedevamo al governo di dimettersi, ai vertici della Banca Nazionale di dimettersi, e ai vertici delle autorità di supervisione monetaria di dimettersi. Queste erano le nostre tre richieste: “Ci avete mentito, ci avete ingannato, noi non abbiamo più fiducia in voi”. Ecco perché è successo. Molta gente dice che è solo perché siamo un paese piccolo, ma io non credo: penso che sia una questione di strategia. Se inizi, vai avanti e non ti arrendi».

Lei, Torfason, è un esperto di economia o finanza? «No. Sono una persona molto semplice, su queste questioni. Ma non c’è bisogno di studiare economia per capire quando ti stanno fregando. Stavo vivendo in uno dei paesi più ricchi del mondo, ma dove stava questa ricchezza? Tutti stavano chiedendo denaro in prestito: questa non è ricchezza, è una catena».

La gente comune può occuparsi di finanza e di economia pur non avendone le competenze? «Non dobbiamo capire l’economia, siamo la società: noi assumiamo delle persone, li chiamiamo politici, li assumiamo perché abbiano a che fare con la gente della finanza, ma non per diventare i loro migliori amici, volare insieme su jet privati, far festa in quei bunga-bunga o Torfason in piazza come si chiamano». «Qui in Islanda siamo una miniatura, siamo solo 300.000: è molto facile vedere attraverso le cose. Secondo me – continua Torfason – quello che è successo è che ci sono poche persone che governano, che possiedono tutto, che hanno preso tutte le aziende; costruito, comprato, costruito. Ed è tutto sparito: loro hanno sistematicamente rapinato il paese. Cosa è rimasto? Noi, i cittadini islandesi, che dovremmo pagare i loro debiti. E’ come un ladro che ruba tutto e poi i manda pure il conto. Ma noi diciamo “no”. Molto semplice. “Voi, pagate. I ladri, devono pagare. E assumersi le loro responsabilità”. Il più delle volte sapevano di fare dei pessimi contratti: rischiavano con i nostri soldi, con le nostre vite. Correggetevi, gente della finanza. Perché c’è qualcosa di molto sbagliato. Tornate a studiare, guardate che cosa avete sbagliato, e correggetelo».

Clicca qui per vedere l'intervista all'artista islandese Hordur Torfason, leader della rivoluzione silenziosa contro la finanza globale.

3 commenti:

  1. Di Islanda se ne parla sempre piuttosto poco, a meno che qualche vulcano dal nome impronunciabile decida che sarebbe una buona idea disturbare il traffico aereo di mezza Europa. Eppure stanno succedendo cose interessanti nel paese di Snorri Sturluson e di Bjork. Si potrebbe parlare dell'Islanda anche solo perché non ci sono più Mc Donald's da quelle parti, oppure perché gli orsi polari iniziano a farsi vedere abbastanza regolarmente (Probabilmente in cerca di approdo dopo la scomparsa del loro iceberg) o anche perché recentemente si è scoperto che nel sangue di alcuni islandesi scorre quello dei nativi americani (Magari qualche vichingo barbuto si è portato da Vinland una bella squaw). Ma ci sono altre cose più interessanti da dire.
    La crisi si è fatta sentire, per quanto possa sembrare abbastanza paradossale considerate le dimensioni, in maniera pesante nel paese dei ghiacci e dei vulcani. A metà del 2008 il debito estero delle banche era circa sei volte più grande del PIL; ebbene si, possono succedere anche assurdità di questo genere. Specialmente quando il settore bancario, diciamolo usando un eufemismo, va fuori controllo.
    Ma gli islandesi, che dopotutto discendono dai bersker, non si sono lasciati impressionare. E, ad oggi, sono successe parecchie cose.
    Dopo aver mandato a casa metà dei vecchi politici hanno iniziato a lavorare ad un nuovo governo. E adesso hanno un primo ministro donna, nonché dichiaratamente lesbica. No, non intendo magnificare tutto ciò in maniera fine a se stessa. Per me chiunque può diventare primo ministro, basta che sappia fare il proprio lavoro e che sia credibile (Diciamo che se la Merkel decidesse di portarsi a letto una truppa di Boy Scouts non me ne importerebbe più di tanto). Intendo solo far pensare a questo fatto: ce la possiamo anche solo immaginare una cosa simile in Italia?
    Il referendum contro Icesave ha vinto nel 2010 e ha di nuovo vinto quest'anno, non pagheranno. Dopotutto hanno il supporto del loro presidente, che ha posto il veto alla decisione. Come potrebbe un presidente sano di mente far pagare cento euro al mese, per i prossimi quindici anni (Con un tasso di interesse niente male del 5,5%) ai propri cittadini?
    E l'IMF ha ritirato la proposta del prestito. Ma credo che i cittadini islandesi l'avrebbero rifiutata comunque “Ma come si fa a rifiutare un prestito del Fondo Monetario Internazionale? Bisogna essere proprio matti!”.
    Nel mentre gli Islandesi stanno riscrivendo la propria costituzione, che fino ad oggi consiste nella coèia di quella danese (Basta sostituire alla parola Re quella Presidente). Ma chi la scrive non è un politicante scribacchino di professione. La costituente è composta da trenta comuni cittadini, privi di affiliazione politica. E i lavori, o perlomeno parte dei lavori si svolgono su internet, in crowdsourcing.
    E non hanno neanche avuto paura a muovere accuse e ad emettere mandati di cattura nei confronti dei responsabili del disastro (Parliamo in particolare dell'ex primo ministro Geir Haarde).
    Cosa possiamo imparare dall'esperienza Islandese? Sostanzialmente nulla, si tratta di cose inapplicabili in Italia (O in quasi ogni altro paese). Fosse anche solo per le dimensioni dell'Islanda stessa, che ha tanti abitanti quanto un quartiere di Milano. Ma, per quanto inapplicabile, è una esperienza importante. Ci testimonia come gli individui non sono refrattari al cambiamento. Ci testimonia che è possibile una rivoluzione silenziosa e che qualcosa si può sempre fare. Che la gente comune può cambiare le cose. E che si può puntare il dito contro il colpevole, per quanto grande e potente, senza aver paura.
    http://pollenaviariaten.blogspot.com/2011/09/parlando-dislanda.html

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  2. In Islanda è avvenuto qualcosa di grandioso e di unico ma purtroppo credo che questa rivoluzione, seppur civile, non sia percorribile per noi italiani.

    In Islanda gli abitanti sono circa 320mila e hanno un debito di soli quattro miliardi di euro mentre l'Italia ha più di 60milioni di abitanti con un debito pubblico di quasi 2mila miliardi.

    Se noi cittadini italiani decidessimo di non pagare più questo debito faremmo crollare all'istante l'intera economia europea e gran parte di quella mondiale.

    Tuttavia c'è qualcosa che noi italiani possiamo astrarre dalla rivolta islandese: "il popolo è sovrano, ed è componente attiva non solo al momento del voto. Il popolo islandese non si è piegato al potere politico-finanziario neoliberista. Il popolo ha deciso di non pagare le colpe di una gestione sconsiderata della cosa pubblica".

    Mi rattrista invece sapere che la stampa non ha dedicato alcuno spazio alla vicenda, tranne La7 con questo servizio.

    Grazie per aver postato il tuo interessante intervento.

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