giovedì 16 dicembre 2010

L'intervista di Calogero Mannino

Lillo Mannino, diciotto anni dopo. Le sue vicende giudiziarie, concluse con una assoluzione, dopo il carcere, varie sentenze e centinaia di udienze, sono diventate una pagina di storia. Gianni Minoli ha intervistato l ’ex ministro democristiano, oggi deputato nazionale, a “La storia siamo noi”. Una conversazione intensa, che ha offerto una testimonianza di grande interesse sui rapporti fra politica e mafia in Sicilia.

La mafia oggi è disseminata nel territorio, nella società civile, ci sono perciò più rischi di prima”, ha affermato Mannino, tra l’altro. In passato era localizzabile, si sapeva dove potesse agire e come, oggi la sua capacità d’inquinare è molto più grave, ha aggiunto. Poi ha spiegato che non si può parlare di una solo mafia, ma di mafie, perché ormai la cupola non sembra esistere più.

Durante la conversazione con Minoli, Mannino ha rievocato le tappe della sua vita politica e ha fatto una breve storia della Democrazia cristiana.




Non è vero che la Dc era mafiosa, non lo è mai stata”, ha detto. “Ci sono stati alcuni uomini della Dc legati alla mafia, che è un’altra cosa. Questi legami furono spezzati, è questo che si tentò di fare, nel congresso della Dc dell’83, ed è a questo punto che la mafia reagisce. Ci fu un altro momento di rottura con quegli ambienti, e risale all’elezione di Piersanti Mattarella alla presidenza della Regione”.
Mannino ha rivendicato al gruppo dirigente della Dc, del quale facevano parte Rino Nicolosi e Giuseppe Campione, la volontà di fare pulizia nel partito. E la cosa non fece piacere a quella parte della Dc che era legata ai boss.

Sul sodalizio politico con Rino Nicolosi, Mannino ha espresso giudizi positivi sul lavoro dell’ex presidente della Regione e sui risultati che questo lavoro ha ottenuto negli anni ottanta per la Sicilia.

Il gruppo dirigente dovette affrontare l’offensiva di Cosa nostra, che modificò la sua strategia, e decise azioni contro lo Stato e i suoi uomini più rappresentativi. Non più affiancamento di alcuni uomini politici, ma la scalata nel partito, il tentativo di dominarlo e guidarlo.

Sulle candidature mafiose ed il loro felice esito grazie all’apporto dei boss, l’ex ministro democristiano è stato estremamente netto: “solo un parlamentare, il professore Barbaccia, è stato eletto con i voti della mafia, ha asserito. Nessun altro”.

Per Mannino la forza elettorale della mafia è stata sempre sopravvalutata, i boss hanno millantato credito per i loro fini.

Mannino ha ricordato anche i momenti difficili della detenzione. La sua carcerazione preventiva durò ben 700 giorni e gli fece correre rischi gravi. Le sue condizioni fisiche erano molto gravi: l’ex ministro aveva perso ben quaranta chili.

Decisivo fu l’intervento di Francesco Cossiga che dopo averlo visitato in carcere, si adoperò perché ottenesse gli arresti domiciliari.“Ricordo il presidente con gratitudine ed affetto”, ha detto Mannino.

Nel corso dell’intervista, ha risposto alle domande di Minoli punto per punto, scandagliando tutte le ragioni che lo condussero sul banco degli imputati. Di particolare interesse la tesi di Mannino sulle ragioni dei suoi guai giudiziari. Fu un tentativo, da parte della mafia e dei suoi compari, di gettare discredito su coloro che l’avevano espulso dalla Democrazia cristiana. Un tentativo compiuto attraverso l’invio di lettere anonime ed apocrife. Un copione scritto con cura con una regia raffinata.

Mannino ha anche ricordato il ruolo svolto da Giovanni Falcone all’indomani del congresso Dc dell’83. Sosteneva che fosse necessaria una unità di azione, una volontà forte per recidere i collegamenti della politica con la mafia.

Infine, la decisione di Cosa nostra di ucciderlo. È stata una rivelazione di Giovanni Brusca, che era stato incaricato di preparare l’agguato. “Sono miracolosamente salvo”, ha detto Mannino.

Una vita difficile, non c’è dubbio. Braccato dalla mafia, costretto a difendersi in tribunale per diciassette anni. Un sopravvissuto, dunque.

Chi sono i colpevoli dei guai giudiziari? Crede ancora nella giustizia? Minoli ha cercato risposte difficili. Mannino ha rivendicato la sua volontà di non sottrarsi alla giustizia, ma di difendersi, sempre e comunque, anche nelle ore più buie. Sono stati dei giudici, ha ricordato, ad averlo assolto. E quelli che lo hanno incastrato? “Avevano un’ottica distorta dei fatti”, ha spiegato, indulgente, Mannino.

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